sabato 4 aprile 2009

I Caracciolo in oltre 1000 anni di storia: a) Dizionario alfabetico delle persone.

Versione 2.0 / 16.5.09.
Biblioteca dei Caracciolo.
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Questo blog è associato alla “Community dei Caracciolo”, sparsa per il mondo e da me raccolta attraverso “Facebook”. Non mi attardo sulle motivazioni che mi hanno spinto ad occuparmi della storia dei Caracciolo, ma saranno da me chiarite ove ciò occorra. Le notizie che seguono vengono raccolte in schede biografiche attinte dalle fonti più disparate, che vengono poi indicate alla fine della voce. Fonti diverse possono da me essere integrate e fuse, dando vita ad una mia scheda originale. Per la Genealogia Ufficiale dei Caracciolo ci si basa sul lavor a stampa edito da Ambrogino Caracciolo nel 1964. Questo blog vuole avere un carattere storico-biografico e sociale, non genealogico-araldico. Aggiungo che per me sono dei Caracciolo tutti quanti portano questo cognome per nascita. Non mi pongo il problema dei “naturali”, dei servi che assumevano il cognome dei padroni, dei battezzati che assumevano un cognome cristiano, o dei nobili caduti in digrazia ed impoveriti. Nella redazione progressiva di questo Dizionario verranno perciò compresi tutti i nomi e le notizie che si trovano nella Genealogia di Ambrogino Caracciolo, ma anche ogni altro nome di cui si riesce a ricostruire un minimo profilo. Le vicende umane di un contadino non hanno per noi meno senso di quelle di un vicerè o di un Pontefice: la loro umanità, fatta di sofferenza e di qualche momento felice, ci è più vicina. Percorrere la grande storia dei Caracciolo significa rivisitare la storia del mezzogiorno d’Italia con occhi diversi da quelli dei Manuali scolastici.

Abbreviazione: A1 = Ambrogino Caracciolo, Genealogia etc. Il numero dopo la lettera rinvia alla Tavola. Le voci di questo Dizionario devono essere necessariamente brevi, ma vi sono personaggi assai importanti sui quali si possono scrivere interi libri. In questo caso verrà qui redatta una breve scheda e via via che le singole voci crescono vengo trasferite in distinti post individuali. Di ogni aggioramento significativo verrà data comunicazione agli iscritti in Facebook nell’apposito gruppo dedicato alla “Community dei Caracciolo”.

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Ascanio Caracciolo. – Era il nome di battesimo di san Francesco Caracciolo (vedi), che ancora con il nome di Ascanio dimorava ed aveva recapito presso la Congregazione dei Bianchi della Giustizia, che si dedicava all’assistenza dei condannati a morte, presso la quale esercitava la stessa opera umanitaria un altro sacerdote con l’identico nome di Ascanio Caracciolo. Fonte: Piero Bargellini.

B

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Bernardino Caracciolo. – Dottore in entrambe le leggi e perito nelle scienze mediche, Suddiacono Apostolico e Diacono, Arcivescovo di Napoli dal 10 gennaio 1252, Legato Pontificio nel luglio 1254, morì il 5 maggio 1262.

C

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Catagrimola Caracciolo Viola. – Figlia di Filippo († 1326), patrizio napoletano, e di Maria Capece Scondito († dopo il 13 maggio 1339).


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Domenico Caracciolo. – Nato il 2 ottobre 1715 a Malpartida de la serena, morì nel 1789. Traggo interamente questa scheda dal sito del comune di Villamaina: «Domenico Caracciolo fu figlio cadetto del II Marchese di Villamaina Tommaso Caracciolo e della Spagnola Donna Maria Alcantara Porras y Silva. Egli non nacque infatti a Villamaina ma in Spagna, nella villa di Malpartida de la Serena, dove il padre si trovava a seguito del reggimento reale. Non abbiamo notizie certe sulla sua infanzia e sulla sua adolescenza. Le ipotesi sono due ed entrambe verisimili: fu educato alle umane lettere ed al latino per una prima alfabetizzazione da Don Stefano Pizzuti, colto sacerdote di Villamaina, o come sostengono altri studiosi, tra cui anche l’illustre Benedetto Croce, fu educato a Napoli nel Collegio detto dei Caracciolo. Se non da subito, è comunque certo che il marchesino di Villamaina si recò in Napoli ad intraprendere i suoi studi economici e giuridici. La sua grande statura intellettuale cominciò a delinearsi subito grazie al suo eccellente maestro: il Genovesi. Non pochi sacrifici dovette sostenere per la verità sia da studente che da giovane avvocato. A causa delle povere condizioni economiche del piccolo feudo irpino, Domenico fu costretto in giovane età a fare il mestiere di “paglietta” nel Tribunale di Napoli, cioè a professare a livello più umile il mestiere di avvocato. Non questo lavoro tuttavia, ma quello di funzionario diplomatico avrebbe conferito al nostro Marchese gli onori della fama e della gloria. Seppur nominato Giudice di Vicaria in Napoli, Domenico accettò con piacere il primo incarico diplomatico: un viaggio a Parigi e Madrid nel 1752. Da questo momento in poi la sua carriera diplomatica fu tutta un crescendo. Già nel 1754 fu ambasciatore supplente in Parigi e da Parigi, con lo stesso incarico, passò poi a Torino. Quindi con l’incarico di inviato straordinario fu a Londra, rimanendovi fino al 1771. Il 21 Agosto di quell’anno muoveva nuovamente alla volta di Parigi. Gli anni europei furono per Caracciolo fervidi di incontri e conoscenze di altissimo livello. Basta fare dei nomi per rendersene conto: si legò in amicizia a Vittorio Alfieri che, nella sua autobiografia, lo definisce “uomo di alto, sagace e faceto ingegno” confessando che nei propri confronti il marchese fu “più che padre in amore”. E’ stato inoltre rinvenuto e, di recente, studiato dal Prof. Pier Carlo Masini di Pisa, un carteggio segreto tra i due illustri amici in cui si toccavano temi e questioni scottanti per l’epoca quali la libertà di culto, l’anticolonialismo ecc. Per sfuggire alla censura, i due nobili italiani utilizzarono lo stratagemma della firma anagrammata. Vittorio Alfieri si firmò sempre nelle sue lettere al Caracciolo “Conte di Rifiela” e Caracciolo si firmò sempre come “Marchese di Licciocara” anziché di Villamaina (cfr. Melzi, Catalogo di opere anonime e pseudonime). A parte quella di Vittorio Alfieri, sono più che documentate molte altre celebri amicizie del nostro marchese; anche il famoso Giacomo Casanova intrattenne un ottimo rapporto di amicizia col Caracciolo che incontrò più volte nelle sue peregrinazioni europee. Casanova definisce Caracciolo un uomo sagace, allegro, con cui era amabilissimo conversare di tutto. Durante la sua permanenza a Parigi il Caracciolo ebbe modo, inoltre, di stringere amicizia con molti degli enciclopedisti francesi. Fu intimo di Voltaire, Diderot e D’Alembert, conobbe d’Holbac. Il nostro marchese fu personaggio assai benvoluto dalla nobiltà transalpina. Proponiamo qualche giudizio raccolto qua e là su di lui: il duca di Levis, frequentatore, assieme al Caracciolo, dei salotti parigini, alla di lui partenza lo ricordava quasi con rimpianto: “non c’è mai stato un uomo più dinamico e più brillante di questo italiano: egli aveva l’energia di quattro uomini e la capacità di operare di otto; egli aveva un modo originale di vedere e di sperimentare le cose”. Così invece Marmotel: “era come se da lui sprizzassero scintille, e la sua naturalezza di espressione, il fascino del suo sorriso e la sensibilità del suo sguardo formavano un insieme che dava un carattere affabile, intelligente ed interessante. Aveva qualche difficoltà a parlare la nostra lingua, ma era eloquente nella sua, e quando il termine francese gli sfuggiva ne prendeva qualcuno in prestito dall’italiano. Così ad ogni momento arricchiva il suo linguaggio di mille e pittoresche espressioni che destavano la nostra invidia... a Parigi tutti desideravano l’amicizia del marchese di Villamaina”. Sono tutti giudizi conseguenti alla partenza del Caracciolo dalla città. Nel 1780, infatti, Ferdinando IV di Borbone lo nominò Viceré delle Sicilie e Caracciolo, con sommo dispiacere, fu costretto a lasciare Parigi e la sua carica di ambasciatore per un incarico di più alto prestigio ma molto più complicato. Il nostro marchese sbarcò a Palermo con molto indugio solo la sera del 14 Ottobre 1781. L’opinione pubblica che non si aspettava da lui nulla di particolare è tutta racchiusa nell’espressione del Villabianca: “si farà i fatti suoi e si godrà una vecchiaia tranquilla”. Non fu così. Tre giorni dopo il suo arrivo sull’isola, il marchese di Villamaina fu investito della carica di Viceré. Era il 17 ottobre del 1781 e Caracciolo andava a ricoprire quella che si può ritenere la più alta carica del regno dopo quella Reale. Uno scrittore siciliano, Vincenzo Linares, fa una descrizione fisica del Caracciolo: “Ed ecco uscirne un uomo alto della persona, risoluto negli atti, tremendo all’incesso, con abito gallonato, e una fascia d’onore che gli pende dal petto. Il naso ha adunco, il mento sporto all’infuori, l’abito negletto; nella larga sua fronte sta l’impronta del genio, e i tratti duri e rilevati del volto indicano la tempra di un’anima indomabile e forte”. Ora, sarebbe forse troppo monotono elencare le tappe dei sei anni di viceregno in Sicilia. Si dica solo che il Marchese di Villamaina giunse sull’isola con un programma preciso, quello di limitare gli abusi del potere baronale ed ecclesiastico sulla povera plebe siciliana. Tra le altre cose Caracciolo fu autore di un trattato “Sull’estrazione dei frumenti delle Sicilie” in cui si descrive una cruda realtà: tutta la ricchezza dell’isola era concentrata nelle mani di pochi possidenti terrieri che affamavano la plebe. Al Caracciolo, imbevuto fino al midollo delle idee degli illuministi francesi, questa situazione non poteva proprio andare a genio. Il Marchese di Villamaina fece discutere fin da subito l’opinione pubblica siciliana, a partire dalla cerimonia ufficiale della sua investitura nel duomo di Palermo, quando non si scoprì il capo davanti all’arcivescovo che gli dette l’incenso. L’episodio suscitò le più grandi maldicenze e subito lo si etichettò come antiecclesiastico. In effetti i privilegi ecclesiastici e quelli baronali furono i suoi obiettivi privilegiati. In una lettera al primo ministro Acton del 1784 il Marchese così argomentava: “ Qui tutta la contemplazione la godono i baroni e del popolo non si cura niente e tutte le altre classi di cittadini si trascurano e si contano per nulla. Iddio immortale! La Sicilia è composta di soli baroni? Il resto del regno è nulla?”. E sempre nella stessa lettera: “con cinquanta granatieri si fanno carcerare tutti i caporioni ed in una notte è finita la commedia!”. Un altro “simpatico” aneddoto è quello relativo alla tassa sulle carrozze del 1782. Col pretesto di raccogliere fondi per far rilastricare le strade di Palermo, Caracciolo istituì una tassa di tre once all’anno su ogni carrozza. Immaginate un po’ come potè reagire la nobiltà siciliana alla notizia, dal momento che ovviamnate la tassa ricadeva al 100% sui nobili. Dopo mille polemiche, a denti stretti, tutti cominciarono a pagare; solo una certa Marchesa di Ceraci, sbandierando gli antichi privilegi, respinse con sdegno l’imposta moderna. Dopo qualche giorno, degli agenti militari del Caracciolo abbatterono il portone di una delle più blasonate casate di Palermo e ne uscirono con la sontuosa carrozza della nobildonna: il Caracciolo l’aveva fatta sequestrare! La carrozza venne trascinata per le vie della città tra gli schiamazzi della plebaglia e lo sbigottimento dei nobili, che mai si sarebbero aspettati un affronto del genere. Sempre del 1782 è l’abolizione del Tribunale dell’inquisizione o del Santo Uffizio. E’ questa la riforma più importante del Caracciolo. Ma la presa di posizione più grossa del Marchese di Villamaina fu quando nel 1783 compì l’atto più impopolare del suo viceregno. Ordinò che i festeggiamenti patronali in onore di Santa Rosalia a Palermo da sei fossero ridotti a tre giorni. E’ inutile dire che in Sicilia fu minacciato di morte e dovette intervenire il Re in persona ad annullare l’ordinanza. Il suo temperamento forte, aspro ed intransigente cominciava ad essere un ostacolo per il suo programma riformatore. Caracciolo si attirava ogni giorno di più le antipatie dei nobili siciliani con atti eclatanti e di inaudita appariscenza. Fu proprio per la sua fama di “duro” che il Re Ferdinando lo richiamò a Napoli con l’importantissimo incarico di Primo Ministro. La sua vita era ormai alla fine. Caracciolo morì a Napoli il 16 Luglio del 1789. Si favoleggiò in città che fosse morto per la sorpresa e lo sgomento che gli provocò la notizia della presa della Bastiglia e dello scoppio della Rivoluzione francese. Questo nessuno storico potrà mai provarlo. E’ certo invece che il nostro marchese era stanco e provato, perchè in una delle sue ultime lettere al Re, aveva espresso il desiderio di potersi ritirare a godere di una meritata pensione in un suo feudo nei pressi di Napoli. Niente di più probabile che avesse scelto la sua Villamaina, allora in possesso del nipote Carlo Maria, figlio del fratello, cui era toccata per diritto di primogenitura la nostra piccola terra» (Fonte).


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Elena Caracciolo Ugot, figlia di Nicolò detto “Zelluso” († post 5 aprile 1400), fu erede dei feudi di San Lupo ee Casalduni, sposò Marino “Beccarino” Caracciolo, patrizio napoletano.
Enrichetta Caracciolo Forino in Greuther. – Di Enrichetta si trova un Profilo biografico in rete, al quale rinviamo. Su di esso ci basiamo per alcuni dati che attirano la nostra prima attenzione. Non ne sapevamo nulla, ma sembra che la figura di Enrichetta sia da ascrivere al nostro Risorgimento. Nacque nel 1821 in Napoli. Enrichetta è scrittrice ed al link indicato si possono leggere i titoli dei suoi libri. Enrichetta fu la quinta di sette figlie che sua madre Teresa Cutelli ebbe dal marito don Fabio Caracciolo di Forino, maresciallo dell’esercito napoletano. Purtroppo la pratica delle monacazioni era frequente nelle famiglie nobiliari. Un modo per conservare il patrimonio senza disperderlo in divisioni che avrebbero ridotto in povertà il casato. A mio avviso, è questa una triste realtà che non si deve dimenticare quando si parla di nobiltà. La monacazione di Enrichetta pare sia stata forzata. Fu costretta a pronunciare i solenni voti nel 1840, a diciannove anni. Compare come un suo ferosce persecutore l’Arcivescovo di Napoli Riario Sforza. La madre Teresa Cutelli, rimasta vedova di don Fabio, avevo decisò di risposarsi ed andò a vivere in Reggio Calabria. Come si legge dal Profilo che non vogliamo qui ricopiare di sana pianta, si tratta di un caso umano certamente interessante e rappresentativo di tanti casi simili non già nell’epoca in cui Enrichetta visse, dove erano presenti fermenti di una riforma imminente dei costumi e del diritto, ma soprattutto per le epoche passate nelle quali certamente esistettero casi analoghi, ma di cui ci manca memoria. Nella voce di Laura Guidi non è indicato chiaramente l’anno della morte di Enrichetta, che pare sia il 1888. Il personaggio – ripeto a me ignoto fino a questo momento – merita approfondito interesse. Cercheremo di dedicargli una più estesa scheda.


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Fabrizio Caracciolo. – Della famiglia dei principi di Marsiconovo. Insieme con San Francesco Caracciolo ed Agostino Adorno fondò un nuovo ordine religioso per rispondere alle necessità della Chiesa dopo il Concilio di Trento. L’ordine con il nome di Chierici Regolari Minori fu riconosciuto il 10 luglio 1588 da papa Sisto v. (Fonte). Fabrizio era abate di S. Maria Maggiore di Napoli (Fonte: Piero Bargellini). || Al nome dell’abate Fabrizio di S. Angelo a Fasanella è legato un Sinodo tenutosi nel 1594. Questa Sinodo ha sue proprie peculiarità che sono state studiate da Adriana Di Leo, Il Sinodo inedito dell’abate Fabrizio Caracciolo di S. Angelo a Fasanella (1594), in AA.VV., Il Concilio di trento e il Mezzogiorno, 1988, vol. II, pp. 617-658. Leggendo gli atti del Sinodo Caracciolo, la figura del prete ideale non si discosta ovviamente dal modello "tridentino", così come si ritrova nella maggior parte delle costituzioni sinodali, ma in questo caso i comandi non hanno i soliti toni perentori, codicistici, rivelano invece un garbo e una accuratezza nella lingua, che è raro riscontrare nei testi sinodali, in più l'abate si dimostra tollerante verso il prete che per vivere deve darsi al lavoro dei campi: "E perciò comandamo che ogni prete, diacono e subdiacono, e clerico vadino in habbito e tonsura, con haver la corona in capo conveniente al suo grado, et ogni sacerdote habbi sempre tosato il labro soprano, acciò non li sia d'impedimento nella sumptione del Santissimo Sacramento, ordinamo de più che tutti tanto preti, quanto clerici, diaconi e subdiaconi portino veste lungha, con ferraiolo decente al decoro clericale, non usino cammise con fattuche, né al collo né alle maniche, né portino anelle nelle dita, salvo che per alcun grado o dignità se gli convenisse, e non vestino veste di seta, né altro colore che negro; mai si vegga alcuno né prete né clerico di qualsivoglia grado, armato, et in nessun tempo si veda ammascherato sotto pena di cinquanta carlini de Cammera e d'altre pene riservate ad nostro arbitrio". Il testo continua con il consueto ordine che i preti "non habbitino con donne suspette" e nemmeno "con donne non suspette e di buona fama, anchore che gli fussero parenti", con una singolare aggiunta che il prete dovesse essere di "buon esempio agli angioli, agli huomini et al mondo". Ancora si continuava con la descrizione di un prete che doveva astenersi dagli spettacoli teatrali, dal giuoco dei dadi, dalle crapule, e che conservasse la sua dignità nei confronti dei "signori temporali", astenendosi da "esercizi vili et particolarmente di farnosi condurre per operari con altri laici a far opere manuali, ma avendo riguardo alla loro povertà, ci contentamo che possano essercitare l'agricoltura, e di fatigarvi con le proprie mani, pur che non lascino il serviggio della Chiesa". Due raccomandazioni importanti, che ci rinviano l'una alla secolare preoccupazione dei vescovi che la "privatizza-zione" delle chiese ricettizie o di giuspatronato riducesse il clero ad una condizione servile; l'altra, che richiamava la più lontana lezione dei Santi Padri, di San Basilio che nelle sue Regole lunghe ammoniva: "Non dobbiamo ritenere perciò che scopo della vita di pietà sia la neghittosità pretestuosa o la fuga dal lavoro". Il problema, dunque, era sempre il medesimo: che nella ricerca dell'autonomia si evitasse il rischio della "privatizzazione" del clero, fenomeno che nel XVI secolo e fino al XVIII appariva ben strutturato nella vita del Mezzogiorno, con radici che risalivano all'età longobarda, quando i duchi con i loro popoli attestavano fedeltà e devozione religiosa, fondando chiese di cui rimanevano proprietari. A questa antica consuetudine il clero ricettizio faceva risalire le sue prerogative autonomistiche nei confronti del vescovo, prerogative che la Real Giurisdizione nel Regno aveva tutto l'interesse a sostenere. Il capitolo del Sinodo di Sant'Angelo a Fasanella, riguardante il De vita et honestate clericorum, si conclude con la vista del prete e del chierico, immerso nella lettura della vita dei Santi Padri, ed anche questo modo di esporre, che tende ad addolcire il linguaggio imperativo, perentorio della normativa tridentina, non è consueto: "Essortiamo tutti tanto preti quanto chierici, chiamati alla sorte del Signore che siano studiosi della scrittura sacra, havendo di continuo nelle mani le vite dei Santi Padri, quali voglino imitare a gloria di Sua Divina Maestà, tutti astretti a dir l'ufficio del Signore habbino il proprio Breviario, Missale, il Concilio tridentino o almeno il Cathechismo volgare (...)". Uniformità, dunque, dei sinodi, per i loro riferimenti normativi, ma varianti, disuguaglianze, accenti e linguaggi diversi non solo nella casistica, ma anche nei modi di svolgere i capitoli e di dare i "comandi": il che rinvia a un'altra ricerca, sulla cultura, sull'abito mentale, sulla provenienza del vescovo. Fonte: Gabriele De Rosa. || Fonti: Gabriele De Rosa; Santi e Beati;
Fabrizio Caracciolo. – Vescovo di Tropea nel 1615. Traggo le notizie che seguono da Salvatore Libertino in TropeaMagazine: «Il 4 maggio 1615 Fabrizio Caracciolo dei Pisquizi, cavaliere napoletano dei Principi di Marsico Vetere, veniva chiamato da Paolo V ad insediarsi quale vescovo di Tropea, ma si presentò qualche tempo più tardi e dopo aver visitato personalmente la Diocesi, celebrò il 22 aprile 1618 un Sinodo. Il primo decreto importante firmato dal nuovo vescovo fu il progetto dell’erezione del Seminario Diocesano che gli atti del Sinodo attestano già operante nel 1618. Il de Spagnolis dovette assistere alle diverse e gravi liti che fin dal 1619 il capo della Chiesa locale dovette sostener con i Sindaci della Città che vollero imporre il pagamento delle imposte alle sei famiglie tropeane (Colace, Mamone, Rizzo, Grasso, Valleri e Tallaro) che invece nel campo fiscale ricadevano ab immemorabili sotto la giurisdizione della stessa Chiesa locale, essendo considerati Vassalli della Mensa vescovile. In verità, le scaramucce tra le Autorità civili ed ecclesiastiche perduravano da un pò di tempo prima dell’insediamento del nuovo vescovo. In certe occasioni si era pure arrivati ai ferri corti, come gli stessi Atti Capitolari della Cattedrale attestano, quando durante la processione del Corpus Domini, nel giugno del 1613, il decano del Capitolo uscendo dalla porta della Cattedrale con nelle mani l’ostensorio fu fatto segno dell’attenzione del capitano della Città e dei suoi uomini che bloccarono e fecero tornare indietro clero e fedeli. O quando nel 1619 furono sparati diversi colpi d’artiglieria contro la casa vescovile in assenza del vescovo che si trovava a Napoli. Fino all’ultimo episodio avvenuto nel 1622: l’incarcerazione da parte del Sindaco di alcuni rappresentanti dei Vassalli per l’ennesimo rifiuto da parte di costoro del pagamento dei tributi. A tutta risposta Mons. Caracciolo fece imprigionare nelle carceri vescovili il rappresentante del Municipio che si presentò da lui a trattare. A questo punto colpi di cannone furono sparati dal vicino corpo di guardia che controllava la zona della porta di mare contro la casa episcopale di cui fu centrata l’architrave del portone principale. I fautori del crimine sacrilego e ormai tutta la città di Tropea furono colpiti da scomunica da parte del vescovo. Nel 1623 il Sindaco Giuseppe Pelliccia inviò al Vicerè una relazione sui fatti e sulla situazione ormai insostenibile, chiedendo l’allontanamento del vescovo, che nello stesso anno fu costretto a lasciare Tropea e prendere la via di Napoli dove a gennaio dell’anno dopo morì. Per dieci anni Tropea rimase senza Vescovo. Infatti Mons. Ambrogio Cordova, nuovo Vescovo e successore di Mons. Caracciolo, si insediò nel 1633» (Fonte).
San Francesco Caracciolo. – Nasce il 13 ottobre 1563 a Villa Santa Maria in provincia di Chieti. Morì in Agnone il 4 giugno 1608. Il nome di Francesco fu assunto con i voti religiosi, ma il suo nome di battesimo era Ascanio: vedi. All’età di 22 si trasferì a Napoli per completarvi gli studi teologici. Alla Fondazione dell’Ordine fu invitato dal genovese Agostino Adorno e da Fabrizio Caracciolo, abate di Santa Maria Maggiore di Napoli. All’eremo di Camaldoli Francesco scrisse la Regola, approvata nel 1588. Nel 1593 la piccola Congregazione tenne il suo primo capitolo generale e Francesco dovette accettare per obbedienza la carica di Preposto generale. Intanto, la congregazione approdava a Roma, alla chiesa di sant’Agnese in Piazza Navona. Scaduto il suo mandato, tornò in Spagna dov’era stato già nel 1593 e vi fondò una casa religiosa a Valladolid e un collegio ad Alcalà. Fu maestro dei novizi a Madrid e di nuovo preposto della casa di S. maria Maggiore di Napoli. || La nostra prima fonte così ci parla del santo: «S. Francesco Caracciolo, discendente da una famiglia principesca, nacque nel feudo paterno a Villa Santa Maria (Chieti) il 13 ottobre 1563. Guarito da una grave malattia, decise di rinunciare a tutti i suoi beni e titoli nobiliari per consacrarsi totalmente al servizio di Dio e degli uomini. Si recò a Napoli per studiare e diventare sacerdote, durante gli anni di questa preparazione coltivò un grande spirito di preghiera sostando spesso davanti al Santissimo Sacramento dell'Eucaristia e, per aiutare il prossimo, si iscrisse alla Compagnia dei Bianchi che aveva lo scopo di assistere gli infermi, i poveri, i carcerati e i condannati a morte.

San Francesco Caracciolo Patrono dei Cuochi d’Italia.
Quadro che si venera nella chiesa dei SS. Angeli Custodi a Roma,
opera di Romano Corradetti.


Dio guardava con particolare predilezione a questo suo servo e dispose, nei suoi disegni sapienti e provvidenziali, che fosse chiamato a fondare insieme al Ven. Agostino Adorno e Fabrizio Caracciolo un nuovo Ordine religioso per rispondere alle necessità della Chiesa dopo il Concilio di Trento. Insieme agli altri due, si ritirò nell'eremo di Camaldoli e qui, nella preghiera e nella riflessione, formulò le Regole per una nuova Famiglia religiosa: oltre alle finalità comuni degli altri Ordini e ai tre voti di castità, povertà e obbedienza, volle aggiungere il quarto voto di non ambire dignità ecclesiastiche e una dedizione particolare al culto divino incentrato nella devozione Eucaristica alimentata dalla Preghiera Circolare Continua. L'Ordine venne approvato dal Papa Sisto V il 1° luglio 1588 con il nome di Chierici Regolari Minori. Ottenuta l'approvazione, egli impiegò tutte le sue energie per la sua diffusione in Italia e in Spagna e molti, attratti dalla sua santità, si consacrarono al Signore in questa nuova Famiglia religiosa che ben presto si consolidò con la fondazione di numerose comunità. Sostenne le fatiche e anche le prove per la diffusione dell'Ordine con una profonda conversione interiore che si manifestava nella preghiera e adorazione di giorno e di notte, nella mortificazione, umiltà e allontanamento di tutto ciò che poteva sembrargli onore, per cui rinunciò all'Episcopato offertogli dal Sommo Pontefice e, dopo insistenti e appassionate suppliche, rinunciò anche alla carica di Superiore Generale. Insieme all'impegno per la diffusione dell'Ordine, ebbe grande zelo per la salvezza delle anime. La sua vita è un intreccio di episodi mirabili riconducibili all'intervento della grazia divina e a una autentica carità, per cui fu chiamato: il padre dei poveri, il predicatore dell'amore di Dio, l'uomo di bronzo, il cacciatore delle anime. Si distinse soprattutto per una intensa spiritualità Eucaristica. L'adorazione davanti al Tabernacolo fu la sua vita, ad essa dedicava il maggior tempo possibile, con edificante spirito di fede e devozione si preparava e celebrava la Santa Messa. Raggiunto il culmine della santità, a soli 44 anni, rese la sua anima al Signore in Agnone il 4 giugno 1608, nella vigilia del Corpus Domini, pronunciando le parole: "Andiamo, andiamo al cielo". Molti furono i prodigi operati per sua intercessione, fu beatificato da Clemente XIV nel 1769 e santificato da Pio VII nel 1807. Nel 1925 i Vescovi abruzzesi scelsero San Francesco Caracciolo come Patrono dei Congressi eucaristici e di tutto il movimento eucaristico della regione Abruzzo. Il 26 marzo 1996, per la riconosciuta professionalità nell'arte culinaria dei cuochi di Villa Santa Maria, le cui origini si fanno risalire alla famiglia Caracciolo, dopo una consolidata venerazione del Santo da parte dei cuochi villesi e italiani, con la richiesta della Federazione Italiana Cuochi e con l'approvazione della Conferenza Episcopale Italiana, la Santa Sede ha dichiarato San Francesco Caracciolo». Non lo sapevo, ma san Francesco è il patrono dei cuochi d’Italia. || Fonti: Bravocook Made in Italy; Santi e Beati;
Francesco Caracciolo. – Nasce a Napoli il 18 gennaio 1752, muore in Napoli il 28 giugno 1799. || Per ragioni scolastiche è forse il più noto dei Caracciolo, essendo stato impiccato da Nelson a conclusione della sventurata rivoluzione partenopea del 1799. Riporto da Wikipedia, il cui testo mi riservo di rimaneggiare integrando con altre Fonti: «Sin da giovanissimo fu avviato alla carriera marinara, rivelandosi ben presto, per le sue qualità umane e militari, valente ufficiale della Regia Marina del Regno di Napoli. Il potenziamento della marina in atto in quegli anni ad opera del nobile inglese Giovanni Acton giunto a Napoli al servizio del sovrano Ferdinando IV di Borbone, portò Caracciolo nei massimi ranghi della flotta, dopo un periodo di pratica sul vascello inglese "Malborough". Nel 1782 divenne tenente di vascello, mentre l'anno successivo era già capitano di fregata a combattere i pirati del Mar Mediterraneo, prendendo parte nel 1793 alla battaglia di Tolone. Nel dicembre del 1798 scortò con la sua fregata, la Sannita, il convoglio navale guidato dall'ammiraglio Nelson che trasportava re Ferdinando e la consorte Maria Carolina, in fuga verso Palermo per l'arrivo delle truppe francesi a Napoli. Nel 1799, autorizzato dal re, rientrò a Napoli per attendere ai suoi affari personali, in una città in cui persino le classi aristocratiche sembravano infatuate dai nuovi ideali rivoluzionari portati dai francesi; egli stesso iniziò a simpatizzare per quelle idee. Con l'approssimarsi della restaurazione borbonica Caracciolo combatté contro la stessa flotta reale, di ritorno a Napoli per scacciarvi i francesi, colpendo fra l'altro la nave Minerva guidata dall'ammiraglio inglese Thurn. Il suo successivo tentativo di fuga fallì e, il 29 giugno 1799, fu arrestato e condotto sulla nave di Nelson, il Foudroyant; la condanna a morte fu eseguita il 30 giugno e il corpo dell'ammiraglio fu appeso alla chiglia della Minerva e quindi gettato in mare; l'esecuzione di Caracciolo resta un'onta sulla brillante personalità dell'ammiraglio Nelson[1]. Le esequie di Caracciolo furono celebrate nella Chiesa di Santa Maria della Catena nel quartiere napoletano di Santa Lucia, dove un epitaffio, posto nel 1881, lo ricorda». – Fonti: Wikipedia.
Fulvia Caracciolo. – Monaca di San Gregorio Armeno, antenata di Enrichetta Caracciolo, che la cita dei suoi “Misteri del chiostro napoletano”. Scrisse intono al 1572 una cronaca del monastero stesso (Fonte).


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Galeazzo Caracciolo. – Traggo dalla “Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli”, questa scheda: «Ebbe Napoli per patria, e vi nacque nel mese di Gennaio del 1517. I suoi genitori furono Antonio Caracciolo marchese di Vico, e Vittoria Caraffa nipote del Pontefice Paolo IV. Giovinetto pendè dal labro di Pietro Martire Vermiglio. Viaggiò nella Germania, e fu gentiluomo di Camera di Carlo V. Dopo la lettura di Lutero, si recò in Augsburg, e poscia si stabilì a Ginevra. Quivi abbbiurò solennemente la cattolica religione, ed abbracciò la riforma. Giovanni Calvino fu suo intimo Amico, da cui gli fu intitolata la seconda edizione de’ suoi Comentarj sopra la prima Epistola di S. Paolo. Intanto il celebre Fracastoro tentò di ridurlo alla religione Cattolica Romana. Caracciolo tirò al suo partito Massimiliano de’ conti Martinanghi di Brescia. La più forte pruova però che diede di sua irremovibile ostinazione, fu quando nel 1558 mosso dagli amorosi inviti della moglie D. Vittoria, figluola del Duca di Nocera, si arrischiò di recarsi sino al castello di Vico. Ivi giunto riuscirono inutili le preghiere del genitore, le lagrime della sposa, e le premure de’ suoi teneri figli. Ritornato a Ginevra, avendo egli consultato i più celebri teologi della pretesa riforma, sposò Anna Fremery, colla quale visse in perfetta armonia. Morì nel mese di Maggio del 1586 d’anni 69. La di lui dottrina, e virtù ne rendono più sensibile la perdita ed il traviamento. La di lui vita fu scritta in francese nel 1681; ma si è fatta rarissima. Bello è l’elogio funebre fattogli da Giovanni Iaguemot di Bar-le-Duc, uno de’ poeti latini de’ suoi tempi, rapportato dal nostro Signorelli nel 4° vol. delle Vicende della Coltura nelle due Sicilie» (Fonte).
Giovanni
Caracciolo. – Figlio di Landolfo, figlio di Pietro, figlio di Teodoro (†976) e Urania.
Giovanni Battista Caracciolo, detto Battistello. – Fu un importante pittore italiano, seguace del Caravaggio, che giunse in Napoli nel 1606, per sfuggire alla cattura in seguito ad un omicidio compiuto a Roma. Battistello nacque a Napoli nel 1570 e morì nel 1635. Battistello di pochi anni più giovane di Caravaggio era stato allievo di Belisario Corenzio. Uno dei primi lavori caraveggeschi di Battistello fu La liberazione di San Pietro (1609-1610), eseguita per la chiesa del Pio Monte della Misericordia. dove si trova del Caravaggio le Sette opere di Misericordia. Fu a Roma, Genova e Firenze. È considerato suo capolavoro La lavanda dei piedi (1622), eseguito per la Certosa di San Martino in Napoli. Sue opere si trovano nei musei di Vienna, Firenze, Napoli, Roma, L’Aquila, in America a Los Angeles, Georgia, Berkeley. I suoi soggetti sono di tipo religioso con pale d’altare e affreschi.
Giovanni Pietro Carafa. – Divenne papa con il nome di Paolo IV. Salì sul soglio di Pietro il 23 maggio 1555 e vi rimase fino al 18 agosto 1559. Era nato il 28 giugno 1476 in Sant’Angelo a Scala da una nobile famiglia napoletana, i cont Carafa di Montorio. Per capire quanto al mondo ebraico sia gradita la sua figura basta riportare il seguente testo di Abraham Berliner, che sullla fine del XIX secolo, nel 1893, scrisse una “Storia degli ebrei di Roma”, tradotta ed edita da Laterza nel 2000. L’opera ha un andamento agiografico e non ha certo quel distacco critico nello stesso anno quasi, nel 1894, Bernard Lazare dimostrava nel suo volume L’antisemitismo. La sua storia e le sue cause. Per Abraham Berliner il mondo si divide in buoni e cattivi. I buoni sono per definizione gli ebrei con la sottocategoria dei buoni che sono i “giusti” in quanto siano graditi agli stessi ebrei. Vengono poi i “cattivi” che sono tutti quelli che hanno fatto torti agli ebrei fra i quali certamente Paolo IV, così descritto dal Berliner:
«Nel maggio stesso succedette a Marcello il fanatico cardinale Carafa, il quale come grande inquisitore di Giulio III era stato l’esecutore della bolla che ordinava il sequestro e la distruzione dei Talmudìm. Egli salì sulla cattedra di Pietro col nome di Paolo IV (1555-1559): un’onta per il papato, un terrore per l’umanità! Quello che egli fece nei quattro anni del suo governo, col pretesto della gloria della sua Chiesa, costituisce una delle pagine più nere della storia. Ciò che i suoi predecessori avevano fatto volta per volta nel perseguire gli Ebrei a motivo della loro fede, egli lo volle fare tutt’insieme, anzi volle andare oltre: fu l’autore della segregazione degli Ebrei nel Ghetto» (A. Berliner, Storia degli Ebrei di Roma, Laterza 2000, p. 164).
Ho voluto evidenziare questo limitato aspetto antiebraico della figura di Paolo IV, alquanto più complessa di quanto voglia far apparire lo scrittore ebreo Abraham Berliner, anche per porre in luce un’assurditò che da qualche tempo circola sul web italiano, e cioè che i Caracciolo sarebbero una famiglia ebraica. In questo Dizionario che andiamo redigendo e che per poter essere completato dovrà comprendere parecchie migliaia di voci proprio non riusciamo a trovare traccia né di radici ebraiche dei Caracciolo, né di filoebraismo, ma se mai come nel caso di Paolo IV di una certa avversione all’ebraismo, insito peraltro nello spirito dei tempi. Pur con le cautele che sempre occorre osservare nella consultazione di Wikipedia si rinvia per un quadro più generale della figura e dell’opera di Paolo IV all’apposita voce, non firmata secondo il criterio di Wikipedia che è un’enciclopedia collettiva, dove io stesso intervengo quando sono sicuro dei dati che immetto. Mi capita spesso di avere vivaci discussioni su voci scottanti, legate in genere all’ebraismo e alla Shoah. Sembra che gli appositi uffici israeliani per la promozione di immagine non tralascino nulla di intentato. Alcuni dati sommari che ricaviamo da questo scheda, utili ai nostri fini, ci informano che ebbe un parente di nome Oliviero Carafa, un potente Cardinale che lo introdusse nella Curia romana e che gli ottenne l’elezione a vescovo di Chieti nel 1505. Sotto Leone X il Carafa fu ambasciatore in Inghilterra e in Spagna e nel 1518 venne nominato alla sede arcivescovile di Brindisi. Fondò insieme a Gaetano di Thiene l’ordine dei Chierici Regolati Teatini. Carafa fu chiamato da Paolo III a far parte del comitato di riforma della Corte Papale, che nel 1537 produsse un importante e inattuato documento, detto “Consilium de Emendanda Ecclesia”. Nel dicembre del 1536 fu creato Cardinale. Nle 1537 gli venne affidato il governo della Chiesa di Chieti, che nel frattempo era stata elevata a sede metropolitana. Nel 1549 fu trasferito alla sede di Napoli. A lui si deve la creazione della Congregazione del Sant’Uffizio. Fu anche il promotore dell’Indice dei libri proibiti, promulgato il 30 dicembre 1558. Con la bolla Cum nimis absurdum il 12 luglio 1555 istituì la creazione del Ghetto di Roma. Condusse una politica di forte contrasto al giudaismo. Anche Paolo IV praticò in nepotismo in favore di appartenti alla sua famiglia, ma non esitò a svergognare in pubblico un suo nipote e a bandirlo dalla Corte. Antonio Caracciolo scrisse una biografia di Paolo IV agli inizi del XVII secolo.
Gregorio Caracciolo. – Sposato con Sellicta Guindacio, da cui ebbe i figli Gualterello e Sicilgaita. «Di lui e dei suoi figliuoli è menzione in documento del 20 novembre 1010, veduto dal Tutini, ma il suo posto nella genealogia è incerto» (Tav. I).
Gregorio Caracciolo. – Figlio di Giovanni, marito di Sichelgarda, morì in un monastero agli inizi del 1139.


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Isabella Caracciolo Viola. – Figlia di Gualtieri († post 21 novembre 1321), sposa di Pietro Capece Latro, patrizio napoletano.


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Landolfo Caracciolo. – Figlio di Landolfo e di Anna Caetani, nel 1134 questi Landolfo del XII secolo «vende al venerando Sergio detto Nuonanima alcuni poderi del territorio di Napoli» (tav. I).
Fra Landolfo Caracciolo. – Trovo questa scheda che riporto integralmente: «Non si conosce con esattezza l’anno di nascita di Landolfo Caracciolo, né è possibile reperire notizie precise sulla sua infanzia e sulla sua formazione giovanile. Indossato l’abito francescano, tra il 1305 e il 1307, su sollecitazione dell’Ordine, il frate napoletano fu a Parigi in veste di uditore di Giovanni Duns Scoto, in quegli anni professore presso l’Università. Frà Landolfo fu riconosciuto come uno dei migliori allievi del Dottor Sottile, emergendo a tal punto per acume e vivacità intellettuale nelle quaestiones disputatae e nelle esercitazioni culturali sabbatine da meritarsi il titolo di Doctor Collectivus. Nel 1314, in qualità di nunzio speciale e protonotaro, ebbe l’incarico di compiere gli atti per la celebrazione del matrimonio di Beatrice, primogenita del re di Napoli Carlo II lo Zoppo. Tra il 1310 e il 1316 fu professore della Studio Teologico di San Lorenzo Maggiore, istituendovi la prima Cattedra Scotista del Mezzogiorno d’Italia ed illustrando la dottrina del maestro Giovanni Duns Scoto: “Scripsit multum vestigia sequendo Scoti, ipsum in omnibus declamando”. La fama di Landolfo Caracciolo varcò ben presto i confini del Regno di Napoli attirando anche l’attenzione del Papa Giovanni XXII, eletto ad Avignone il 7 agosto 1316. Su sollecitazione della Corte Pontificia, il Padre Maestro napoletano fu inviato a Parigi con il difficile compito dell’esame di censura delle proposizioni teologiche; contestualmente (1317-1320) Landolfo occupò la cattedra universitaria magno omnium plauso, imponendo con gli scritti e con l’insegnamento la dottrina scotista e dedicandosi al monumentale commento ai quattro libri delle Sentenze di Pietro Lombardo. In virtù del successo dell’insegnamento parigino e dell’unanime stima di cui godeva, nel 1324, Fra Landolfo fu nominato Ministro Provinciale della Provincia Religiosa Terrae Laboris, trovandosi così ad affrontare, risolvendoli con successo, i problemi scaturiti dalle lotte tra Papato e Impero e dall’interpretazione della regola di San Francesco d’Assisi da parte degli Spirituali e dei Fraticelli. A distanza di due anni fu eletto vescovo di Castellamare di Stabia da Papa Giovanni XXII e poi, ormai in fame di santità, nel 1331 arcivescovo di Amalfi. Nel 1340, in Napoli, consacrò il Monastero e la Chiesa di Santa Chiara. Infine, investito dei poteri di logoteta e protonotaro pacificò le fazioni siciliane in lotta, riuscendo a concludere il contratto di pace tra l’Ungaro e la regina Giovanna. Morì ad Amalfi il 1351 ed ivi fu sepolto» (Fonte: Biblioteca Fra Landolfo Caracciolo).

Landolfo Caracciolo. – Figlio di Pietro, a sua volta figlio di Teodoro Caracciolo (†976) e Urania.
Luigi Caracciolo. – È il nome di un canonico napoletano che fu nominato vescovo nell’aprile del 1469 e che tenne un Sinodo a Potenza nel 1472. Fonte: Geronimo Seripando e la Chiesa del suo tempo, p. 566.


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Malfredo Caracciolo. – Detto Bebe. Figlio di Teodoro, morto nel 976, e fratello di Maria e Teodonanda (A1).
Malfredo Caracciolo. – Qualificato come comes. Figlio di Giovanni, figlio di Landulfo, figlio di Pietro, figlio del capostipite Teodoro. Malfredo è padre di Olfo, il cui nome insieme con quello del padre si trova in un atto notarile del 1° febbraio 1104 (A1).
Maria Caracciolo. – Figlia di Teodoro, morto nel 976, e sorella di Teodonanda.
Mira Caracciolo. – Figlia di Landolfo e Anna Caetani. Monaca di S. Gregorio, è detta figlia di Landolfo in carta dell’8 settembre 1138 (Fabris tav. I).


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Nicolò Caracciolo Ugot, detto “Zelluso”, sposatosi nel 1396 con Margerita Ruffo, figlia di Fulcone 2° Conte d Sinopoli e di Martuscella Caracciolo, già vedova di Giovanni Antonio di Costanzo Signore di Casalduni.


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Olfo Caracciolo. – Figlio di Malfredo detto comes. Il suo nome si trova in un atto notarile del 1° febbraio 1104. (A1)
Oliviero Carafa. – Potente Cardinale, che introdusse Giovanni Pietro Carafa, futuro Paolo IV, nella Curia romana e che gli ottenne l’elezione a vescovo di Chieti nel 1505..


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Pietro Caracciolo. – Figlio di Teodoro Caracciolo († 976) e Urania. Di lui non si sa altro se non che fu suo figlio Landolfo.
Pietro Caracciolo. – Figlio di Giovanni, marito di Cleogia. Era già morto nel 1139. (A. tav. I).
Pietro Caracciolo. – Figlio di Landolfo, menzionato in documenti del 1110 e 1138, e di Anna Gaetani, è chiamato in una pergamena del 10 agosto 1110 venerabile diacono della chiesa napoletana e rettore del monastero e dell’ospedale di S. Giorgio. (A tav. I).


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Riccardo detto “Rosso”. – Fu il capostipite dei Caracciolo Rossi. Conte di Montemarano, morì dopo il 1140. Sposò Marotta, figlia ed erede di Landolfo Conte di Montemarano.



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Sergianni Caracciolo. – Particolarmente noto per la sua relazione con la regina Giovanna II, sorella di Re Ladislao di Durazzo. Nacque nel 1372 e morì in Napoli il 19 agosto 1432. Fa parte del ramo dei Caracciolo del Sole. Era terzo figlio di Francesco caracciolo, ciambellano del re di Sicilia e di Covella Sardo. Fu nominato Gran Siniscalco e Gran Conestabile. Ottenne nel 1425 il Ducato di Venosa, cui seguì la Signoria di Capua e il Ducato di Amalfi. Era abilissimo nelle armi e dimostrò in più occasioni la sua maestria. Accettò una sfida del barone di Campi che vinsè costringedlo a chiedere grazia della vita. Sposò Donna Caterina Filangieri di Candida, contessa di Avellino, ma non esitò a comprare il monumentale palazzo nei pressi di Castel Capuano per essere più vicino alla Regina Giovanna II, con cui continuava ad intrattenere una relazione. Fonte.

Ritratto di Sergianni in Napoli, nella Chiesa di S. Giovanni a Carbonara, di epoca trecentesca e tra le più ricche di opere d’arte della città

Riporto da Wikipedia: «Grazie alla posizione privilegiata di “favorito” e consigliere della sovrana angionina, Sergianni, discendente di un ramo della famiglia Caracciolo detto “del Sole”, acquistò un crescente potere sul Regno di Napoli, che gli valse l’accumulo di un cospicuo patrimonio personale fatto di numerosi feudi e proprietà. Intorno al 1425 egli contava già i titoli di Gran Siniscalco del Regno di Napoli, Conte di Avellino col possesso di Capua, Sant’Erasmo, Santa Maria Capua Vetere, Torre del Greco, Ottaiano, Policastro, Lagonegro, Campagna, Contursi, Postiglione e Roccagloriosa, Signore di Cerignola e Orta (feudi acquistati e poi ceduti al fratello Marino), Conte di San Giorgio e Duca di Venosa col possesso di Melfi, Atella, Ripacandida e Rapolla. La sua relazione con la regina Giovanna ebbe inizio intorno al 1416, quando la sovrana si scontrò duramente col marito Giacomo II di Borbone per la pretesa di questi ad essere insignito del titolo regio in luogo di quello di Principe di Taranto. La nobiltà napoletana fedele agli Angioini diede vita ad una violenta sommossa contro Giacomo, che nel 1418 fu costretto ad abbandonare Napoli. Fra il Caracciolo e Giovanna nacque un rapporto turbolento, continuamente scosso da contrasti e disaccordi, viziato all'origine dall’intreccio di sentimenti, ambizioni e potere sul quale reggeva. Tuttavia, Sergianni esercitò per decenni un’influenza enorme sulla regina, che da parte sua cedette a poco a poco il suo potere all’amante fino a restarne ella stessa sopraffatta. Già a partire dai primi anni della relazione, Sergianni ebbe un ruolo fondamentale nella politica del regno di Napoli, investito dell’autorità di assumere motu proprio molte decisioni cruciali fino a diventare egli stesso l’arbitro e il padrone del reame. A lui si deve la rottura fra la regina e il papa Martino V, che in quanto signore feudale del regno napoletano aveva chiesto a Giovanna sostegno economico per la ricostituzione del suo esercito. Sergianni istigò la sovrana a rifiutare il contributo al pontefice, il quale, di fronte al rifiuto, decise di passare alla rappresaglia. Trovato un alleato in Luigi III d’Angiò, nel 1420 Martino V lo investì dei diritti sul regno e lo inviò contro Giovanna, che da parte sua, grazie alle manovre politiche del Caracciolo, ottenne l’alleanza del potente Alfonso V d’Aragona, creando le premesse per la guerra di successione che si scatenò dopo la sua morte. Nel giro di pochi anni i rapporti fra Giovanna e Alfonso, nominato erede al trono, degenerarono in un violento scontro che coinvolse anche il Caracciolo. Profondamente odiato dall’Aragonese per l’immenso potere che egli deteneva, nel maggio del 1423 Sergianni fu tratto in arresto da Alfonso, i cui soldati posero d’assedio Castel Capuano per costringere Giovanna alla resa. L’assedio fallì e Alfonso barattò la liberazione di alcuni prigionieri col rilascio di Sergianni. Questi, insieme alla regina, lasciò Napoli alla volta di Aversa, dove avvenne l’incontro pacificatore con Luigi III d’Angiò. Sempre su indicazione di Sergianni, la regina prese le distanze dal sovrano aragonese e ne annullò l’adozione, nominando Luigi suo nuovo erede mentre Alfonso faceva ritorno in patria per dirimere le controversie scoppiate tra i fratelli. Nei dieci anni che seguirono, il potere di Sergianni Caracciolo crebbe ulteriormente. Giovanna delegò a lui ogni responsabilità nella gestione dello Stato, conducendo di fatto vita privata. L’equilibrio raggiunto fra i due amanti giovò anche al regno ma durò meno del previsto. La sfrenata ambizione del Caracciolo, sempre più avido di potere e ricchezze, cominciò ad irritare la regina, stanca di quella posizione di sottomissione ai voleri di un uomo che lei stessa aveva reso così potente. A convincere Giovanna ad attuare una soluzione estrema furono i consiglieri della sua corte, che ordirono insieme a lei l’eliminazione dello scomodo amante. Il complotto scattò la notte del 19 agosto 1432 nelle stanze di Castel Capuano: Sergianni fu assalito nel buio da un gruppo di sicari e assassinato a pugnalate, mentre Giovanna, così racconta la leggenda, udiva impassibile gli ultimi rantoli del suo favorito dalla camera accanto. Il giorno seguente, la regina confiscò la contea di Avellino. Il corpo di Sergianni Caracciolo fu sepolto a Napoli, nella chiesa di San Giovanni a Carbonara. Intorno al 1418, mentre entrava nelle grazie di Giovanna di Durazzo, Sergianni Caracciolo sposò Caterina Filangieri de Candia (1399 ca. – 1432), Contessa di Avellino, figlia ed erede di Giovanni Nicola Filangieri de Candia e Francesca Sanframondo dei Conti di Cerreto. Dal matrimonio nacquero tre figli: Giovanetta o Ippolita (m. 1451), nel 1431 sposò Gabriele Orsini Del Balzo Duca di Venosa; Isabella, sposò Antonio Caldora Conte di Trivento; Troiano (m. 1449), Duca di Venosa, Conte di Avellino, Duca di Melfi con le terre di Cisterna, Leonessa, Canarda, Pasasacco, Rapolla, Atella, San Fele, Lagopesole, Montorio e Candela e Barone di Frigento (a cui vennero aggiunte Torella e Villamaina nel 1442). Il 19 agosto 1432 (lo stesso giorno dell’assassinio di Sergianni) sposò a Napoli Maria Caldora, figlia di Jacopo Duca di Bari».


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Teodonanda Caracciolo. – Figlia di Teodoro Caracciolo († 976) e Urania. Sorella di Maria. «Ripete la donazione al monastero di s. Sergio e Bacco, già fatta con altra carta smarrita, di una rendita sui beni ereditati dal padre» (Ambrogino, Tav. I).
Teodoro Caracciolo. – Nei documenti è scritto “Caraziolus”. Su lui si sa soltanto che è morto nel 976, che era un patrizio della città di Napoli e che sposò una donna di nome Urania. È il capostipite riconosciuto dei Caracciolo, che secondo quanto ammettono i genealogisti è una delle poche famiglie di cui si può documentare una discendenza di oltre 1000, fatto piuttosto raro nella storia delle famiglie nobiliari. Riporto esattamente il testo di Francesco Fabris, ripubblicato nel 1966 da Ambrogino Caracciolo, la cui edizione è qui sempre abbreviata in Ambrogino o A.. Il testo, dovuto credo a Francesco Fabris e rieditato da Ambrogino Caracciolo, così recita: «Visse nella prima metà del secolo X ed avea estesi possessi nel territorio di Napoli, fra i quali un campo detto monticelli de li Carazzuli: è menzionato come defunto in una pergamena del 20 marzo 976, che è il più antico documento autentico contenente il cognome della Famiglia; come pare fu sepolto in una piccola chiesa detta S. Maria Assunta dei Caracciolo, dove un’antichissima iscrizione riportata dal D’Engenio ricordava lui e sua moglie. Il suo nome comparisce alla quarta generazione di una genealogia dei Caracciolo Rossi, la quale in vari punti differisce da un’altra inviata verso il 1715 dal principe di Santo Buono al noto genealogista tedesco Imhof, e, sebbene compilate entrambe verso il medesimo tempo su memorie più antiche, non si può esser sicuri della loro veridicità, sia per le divergenze che presentano, sia perché fin dal secolo XVI l’Ammirato, sebbene in relazione con signori della famiglia, tentò invano di costruire l’albero genealogico, aiutandosi con ricerche fatte negli archivi. Scarse notizie invero ci rimangono sui personaggi vissuti prima del secolo XIV, ma da molti indizii questa famiglia apparisce d’origine bizantina e pare che a Costantinopoli avesse nome Caracoli; infatti, un monastero del monte Athos ha questo nome. Tuttavia, conviene essere molto cauti nell’accogliere le prove di tale origine, perché i frammenti degli antichi storici Agatarchide di Cnido e Sergio Confessore addotti in prova sono evidenti falsificazioni del secolo XVII, forse fabbricate per dimostrare il diritto del principe di Avellino ad assumere la dignità di gran maestr dell3ordine Costantiniano; secondo uno di questi frammenti i Caracciolo discenderebbero dai leggendari Eacidi. Fin dal nono si può ammettere, che la famiglia esistesse a napoli ed avesse nome Carazzuli, perché alcune località sono indicate con tal nome nei documenti pubblicati dal Capasso, ed inoltre un breve del papa Eugenio IV spedito nel 1440 accenna alla fondazione di un ospedale presso S. Maria a Selice, avvenuta 600 anni prima, cioè verso l’840 per opera di un Pietro Caracciolo, che parrebbe essere stato rettore di S. Giorgio. Al tempo del ducato napoletano i Carazzuli figuravano tra i più ragguardevoli cittadini (nobiliores homines), fra quelli, cioè, che godevano i privilegi concessi da un duca Sergio col pactum; in seguito quando Napoli divenne capitale del regno sotto la dominazione angioina, acquistarono molti feudi, esercitarono importanti uffici ed i loro nomi sono di frequente registrati nelle storie. In tempi posteriori i re di Spagna concessero onori e dignità ai vari discendenti di questa famiglia, di modo che in diverse epoche furono loro conferiti 14 titoli di principe e 24 di duca. La maggior parte dei Caraccioli appartenne alla piazza di Capuana, nella quale, come osserva l’Ammirato, godeva un terzo degli onori, e a tale prerogativa contribuirono certamente l’antichità della famiglia ed il numero delle persone: una parte però era ascritta al seggio di Nido. L’ortografia del cognome in origine era Caracculi e Caraczuli, ma fin dai primi tempi i vari individui aveano qualche soprannome, che fu poi trasmesso alla loro discendenza e talvolta, come nel ramo dei carafa, divenne cognome; questi soprannomi provano che numerosa era la famiglia, e nei primi tempi erasi diramata anche a gaeta, ove nel 1053 un Docibile, qui dicitur Caraczolum, era avvocato del vescovo; si sparsero poi in Sicilia, a Piacenza, in Francia ed in Austria; è molto probabile che la famiglia siciliana Di Napoli sia una diramazione dei caracciolo. Non è facile stabilire il legame genealogico dei vari rami, né tutti i personaggi trovano con sicurezza il loro posto nella genealogia: Scipione Ammirato tentò l’arduo compito basandosi sulla cronologia, base fallace in una famiglia tanto numerosa che potrebbe chiamarsi una gente. L’omonimia delle persone, documenti male interpretati ed ora smarriti aumentano la confusione. Ove manca la certezza storica è pur d’uopo seguire le tracce dei genealogisti, correggerli ove sia possibile, ed assegnare il posto probabile ai personaggi non indicati da essi, eppure vissuti anteriormente al secolo XV, come indicano monumenti, registri e pergamene» (Tav. I).


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Urania. – Moglie di Teodoro, capostipite dei Caracciolo. Di lei non si sa altro. Ebbe due figli: Teodonanda e Pietro.


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Verdella Caracciolo Viola. – Sorella di Isabella e figlia di Gualtieri († post 21 novembre 1321), andata sposa a Giacomo Tomacelli († ante 17 giugno 1346). Verdella morì dopo il 17 giugno 1346.


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Zelluso, così detto Nicolò Caracciolo Ugot (vedi), sposatosi nel 1396 con Margerita Ruffo, figlia di Fulcone 2° Conte d Sinopoli e di Martuscella Caracciolo, già vedova di Giovanni Antonio di Costanzo Signore di Casalduni.

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