domenica 24 maggio 2009

Luther Blisset: «Q», romanzo contemporaleo sulla figura di Pietro Carafa. - Parte Iª cap. 4°: Frankenhausen, 19 maggio 1525.

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A seguire:
– PARTE SECONDA – PARTE TERZA - EPILOGO

PRIMA PARTE
Il Coniatore
Frankenhausen
(1525)

Capitolo 4
19 maggio 1525

Cavalco, con addosso la divisa dell’infamia.
È la divisa a proteggermi, ora. Forse è astuzia, devo abituarmi, forse. Maschera di mercenario dell’infamia, quando l’infamia trionfa, nient’altro.
Devo abituarmi. Non avevo mai ucciso prima.
Ancora un tramonto a screziare campi e colline di riflessi purpurei, rendere più vaghi i contorni, dissolvere le certezze se mai ne erano rimaste.
Molte miglia percorse, sempre a sud, verso Bibra, in sella a una tenue speranza. Le campagne attraversate portavano i segni del transito dell’orda assassina. Come i resti di una sciagura degli elementi: terreni mai più fertili; ferraglie e ogni sorta di residui della truppa immonda; qualche cadavere a marcire, carcasse di disgraziati capitati sul cammino; manipoli di mercenari sguinzagliati da chissà quale massacro verso una nuova razzia.
Da quando il buio ha inghiottito l’orizzonte e le ultime ombre proseguo a piedi nella boscaglia. Scorgo tra gli alberi bagliori in lontananza: forse altri bivacchi. Pochi passi ancora e un rumore sordo mi viene incontro. Cavalli, clangore di corazze, riflessi di torce sul metallo. L’animale scalpita, devo tenerlo a freno mentre cerco riparo dietro a un tronco. Resto in attesa, accarezzando il collo del cavallo per alleviargli la paura.
Il rumore è un fiume in piena. Avanza. Zoccoli e armi scintillanti. Un’orda di fantasmi scorre a pochi metri da me.
Finalmente il fragore si fa più debole, ma la notte non torna a tacere.
La luce oltre il bosco si è fatta più intensa. L’aria è ferma, ma le cime degli alberi ondeggiano: è il fumo. Mi avvicino fino a sentire crepitio di legna bruciata. Gli alberi si aprono a un tratto sulla distruzione assoluta.
Il villaggio è avvolto dalle fiamme. Il calore mi investe la faccia, piovono piccole braci e fuliggine. Una zaffata dolciastra, odore di carne bruciata, mi rovescia lo stomaco. Allora li vedo: corpi carbonizzati, sagome indistinte abbandonate al rogo, mentre il vomito sale in gola, taglia il respiro.
Le mani avvinghiate alla sella, portami via, a capofitto nella notte, fuggi dall’orrore e dalla presa immonda dell’inferno.

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