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Navigazione: PROLOGO. Fuori dall’Europa. – L’«Occhio»: Lettere del 17 maggio 1518, del 10 ottobre 1518. – PRIMA PARTE. Il Coniatore. a) Frankenhausen: Capitoli: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7. - La dottrina, il pantano: 8. – L’«Occhio»: Lettere del 14 maggio 1521, del 27 ottobre 1521. – Capitoli: 9 - 10 - 11. - La sacca, i ricordi: 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 - 27 - 28 - 29. – L’«Occhio»: Lettere del 28 maggio 1525, del 22 giugno 1526, del 10 giugno 1527, del 17 settembre 1527, del 1 ottobre 1529.
A seguire:
– PARTE SECONDA – PARTE TERZA - EPILOGO
PRIMA PARTE
Il Coniatore
Frankenhausen
(1525)
Il Coniatore
Frankenhausen
(1525)
Capitolo 1
Frankenhausen, Turingia, 15 maggio 1525. Pomeriggio
Frankenhausen, Turingia, 15 maggio 1525. Pomeriggio
Quasi alla cieca.
Quello che devo fare.
Urla nelle orecchie già sfondate dai cannoni, corpi che mi urtano. Polvere di sangue e sudore chiude la gola, la tosse mi squarcia.
Gli sguardi dei fuggiaschi: terrore. Teste fasciate, arti maciullati... Mi volto continuamente: Elias è dietro di me. Si fa largo tra la folla, enorme. Porta sulle spalle Magister Thomas, inerte.
Dov’è Dio onnipresente? Il Suo gregge è al macello.
Quello che devo fare. Le sacche, strette. Senza fermarsi. La daga batte sul fianco.
Elias sempre dietro.
Una sagoma confusa mi corre incontro. Mezza faccia coperta di bende, carne straziata. Una donna. Ci riconosce. Quello che devo fare: il Magister non deve essere scoperto. La afferro: non parlare. Grida alle mie spalle: - Soldati! Soldati!
La allontano, via, mettersi in salvo. Un vicolo a destra. Di corsa, Elias dietro, a capofitto. Quello che devo fare: i portoni. Il primo, il secondo, il terzo, si apre. Dentro.
Ci chiudiamo il portone alle spalle. Il rumore cala. La luce filtra debole da una finestra. La vecchia siede in un angolo in fondo alla stanza, su una sedia di paglia mezza sfondata. Poche povere cose: una panca malmessa, un tavolo, tizzoni che ricordano un fuoco recente in un camino annerito dalla fuliggine.
Mi avvicino: - Sorella, portiamo un ferito. Ha bisogno di un letto e di acqua, in nome di Dio...
Elias è fermo sulla porta, la occupa tutta. Sempre con il Magister sulle spalle.
- Per qualche ora soltanto, sorella.
I suoi occhi sono acquosi e non guardano niente. La testa dondo¬a su e giù. Le orecchie fischiano ancora. La voce di Elias: - Cosa sta dicendo?
Le vado più vicino. In mezzo al ronzio del mondo, una nenia appena mormorata. Non afferro le parole. La vecchia non sa neanche che siamo qui.
Quello che devo fare. Non perdere tempo. Una scala porta di sopra, un cenno a Elias, saliamo, finalmente un letto dove stendere Magister Thomas. Elias si toglie il sudore dagli occhi.
Mi guarda: - Bisogna trovare Jacob e Mathias.
Tocco la daga e faccio per andare.
- No, vado io, tu resta col Magister.
Non ho il tempo di rispondere, già scende le scale. Magister Thomas, immobile, fissa il soffitto. Lo sguardo vuoto, appena un battito di ciglia, pare quasi non respiri.
Guardo fuori: uno scorcio di case dalla finestra. Dà sulla strada, il salto è troppo alto. Siamo al primo piano, c’è almeno un solaio. Osservo il soffitto e riesco a malapena a distinguere le fessure di una botola. Per terra c’è una scala. Un pasto di tarli, ma regge lo stesso. Mi infilo carponi, il tetto del solaio è bassissimo, il pavimento è coperto di paglia. Le travi scricchiolano a ogni movimento. Nessuna finestra, qualche raggio di luce si infila da sopra tra le assi: il sottotetto.
Ancora assi, paglia. Devo stare quasi sdraiato. Un’apertura dà sui tetti: spioventi. Impossibile per Magister Thomas.
Torno da lui. Ha labbra secche, la fronte brucia. Cerco dell’acqua. Al piano di sotto sul tavolo ci sono noci e una brocca. La cantilena prosegue incessante. Quando accosto l’acqua alle labbra del Magister vedo le sacche: meglio nasconderle.
Siedo sullo sgabello. Le gambe mi fanno male. Tengo la testa tra le mani, solo un attimo, poi il ronzio diviene un fragore assordante di urla, cavalli e ferraglia. I bastardi al soldo dei principi entrano in città. Di corsa alla finestra. A destra, sulla strada principale: cavalieri, picche spianate, rastrellano la via. Infieriscono su tutto ciò che si muove.
Dalla parte opposta: Elias sbuca nel vicolo. Scorge i cavalli: si ferma. Soldati a piedi compaiono dietro di lui. Non ha scampo. Si guarda intorno: dov’è Dio onnipresente?
Lo puntano.
Alza gli occhi. Mi vede.
Quello che deve fare. Sguaina la spada, si lancia gridando contro i soldati a piedi. Ne ha sventrato uno, gettato a terra un altro con una testata. Gli sono addosso in tre. Non sente i colpi, afferra l’elsa con due mani come una falce, continua a menare fendenti.
Si fanno da parte.
Da dietro: un galoppo lento, pesante, il cavaliere carica alle spalle. Il colpo ribalta Elias. È finito.
No, si rialza: maschera di sangue e furore. La spada ancora in mano. Nessuno si avvicina. Lo sento ansimare. Strattone alle redini, il cavallo si gira. La scure si alza. Di nuovo al galoppo. Elias allarga le gambe, due radici. Braccia e testa verso il cielo, lascia cadere la spada.
L’ultimo colpo: - Omnia sunt communia, figli di cane!
La testa vola nella polvere.
Saccheggiano le case. Portoni giú a calci e colpi di scure. Tra poco tocca a noi. Non perdere tempo. Mi chino su di lui.
- Magister, ascoltami, dobbiamo andare, stanno arrivando... Per Dio, Magister... - Gli afferro le spalle. Risposta: un sussurro. Non può muoversi. In trappola, siamo in trappola. Come Elias.
La mano stringe la spada. Come Elias. Vorrei avere il suo coraggio.
- Cosa credi di fare? Basta martirio. Vattene, pensa a salvarti.
La voce. Come dalle viscere della terra. Non riesco a credere che abbia parlato. È più immobile di prima. Colpi rimbombano di sotto. La testa mi gira.
- Va’!
Ancora la voce. Mi volto verso di lui. Immobile. Colpi. Il portone va giù. Va bene, le sacche, non devono trovarle, via, sulle spalle, su per la scala, i soldati insultano la vecchia, scivolo, non ho appigli, troppo peso, via, mi cade una sacca, merda!, salgono le scale, dentro, ritiro la scala, chiudo la botola, la porta si apre.
Sono in due. Lanzichenecchi.
Posso spiarli da una fessura tra le travi. Non devo muovermi, il minimo scricchiolio e sono fottuto.
- Solo un’occhiata poi andiamo via, tanto qui non troviamo niente... Ah, ma c’è qualcun altro!
Si avvicinano al letto, scrollano Magister Thomas: - Chi sei? È casa tua questa? - Nessuna risposta.
- Bene, bene. Günther, guarda un po’ cosa abbiamo qui! Hanno visto la sacca. Uno dei due la apre:
- Merda, qui c’è solo carta, monete niente. Che roba è? Te sai leggere?
- Io, no!
- Io neanche. Forse è roba importante. Va’ giú a chiamare il capitano.
Cos’è, mi dài degli ordini? Perché non ci vai te?
Perché ‘sta borsa l’ho trovata io!
Alla fine si decidono, quello che non si chiama Günther scende al piano di sotto. Spero che nemmeno il Capitano sappia leggere, altrimenti è finita.
Passi pesanti, quello che dev’essere il capitano sale le scale. Non posso muovermi. Ho il palato riarso, la gola invasa dalla polvere del solaio. Per non tossire, mordo l’interno di una guancia e deglutisco il sangue.
Il capitano inizia a leggere. Posso solo sperare che non capisca. Alla fine alza lo sguardo dai fogli: - È Thomas Müntzer, il Coniatore... anzi, la Monetina1.
Il cuore mi va in testa. Sguardi compiaciuti: paga raddoppiata.
Portano via di peso l’uomo che dichiarò guerra ai principi. Resto in silenzio, incapace di muovere un muscolo. Dio onnipresente non è qui né in nessun luogo.
1 Gioco di parole dal tedesco «müntzer» = coniatore, «müntzel» = monetina.
Quello che devo fare.
Urla nelle orecchie già sfondate dai cannoni, corpi che mi urtano. Polvere di sangue e sudore chiude la gola, la tosse mi squarcia.
Gli sguardi dei fuggiaschi: terrore. Teste fasciate, arti maciullati... Mi volto continuamente: Elias è dietro di me. Si fa largo tra la folla, enorme. Porta sulle spalle Magister Thomas, inerte.
Dov’è Dio onnipresente? Il Suo gregge è al macello.
Quello che devo fare. Le sacche, strette. Senza fermarsi. La daga batte sul fianco.
Elias sempre dietro.
Una sagoma confusa mi corre incontro. Mezza faccia coperta di bende, carne straziata. Una donna. Ci riconosce. Quello che devo fare: il Magister non deve essere scoperto. La afferro: non parlare. Grida alle mie spalle: - Soldati! Soldati!
La allontano, via, mettersi in salvo. Un vicolo a destra. Di corsa, Elias dietro, a capofitto. Quello che devo fare: i portoni. Il primo, il secondo, il terzo, si apre. Dentro.
Ci chiudiamo il portone alle spalle. Il rumore cala. La luce filtra debole da una finestra. La vecchia siede in un angolo in fondo alla stanza, su una sedia di paglia mezza sfondata. Poche povere cose: una panca malmessa, un tavolo, tizzoni che ricordano un fuoco recente in un camino annerito dalla fuliggine.
Mi avvicino: - Sorella, portiamo un ferito. Ha bisogno di un letto e di acqua, in nome di Dio...
Elias è fermo sulla porta, la occupa tutta. Sempre con il Magister sulle spalle.
- Per qualche ora soltanto, sorella.
I suoi occhi sono acquosi e non guardano niente. La testa dondo¬a su e giù. Le orecchie fischiano ancora. La voce di Elias: - Cosa sta dicendo?
Le vado più vicino. In mezzo al ronzio del mondo, una nenia appena mormorata. Non afferro le parole. La vecchia non sa neanche che siamo qui.
Quello che devo fare. Non perdere tempo. Una scala porta di sopra, un cenno a Elias, saliamo, finalmente un letto dove stendere Magister Thomas. Elias si toglie il sudore dagli occhi.
Mi guarda: - Bisogna trovare Jacob e Mathias.
Tocco la daga e faccio per andare.
- No, vado io, tu resta col Magister.
Non ho il tempo di rispondere, già scende le scale. Magister Thomas, immobile, fissa il soffitto. Lo sguardo vuoto, appena un battito di ciglia, pare quasi non respiri.
Guardo fuori: uno scorcio di case dalla finestra. Dà sulla strada, il salto è troppo alto. Siamo al primo piano, c’è almeno un solaio. Osservo il soffitto e riesco a malapena a distinguere le fessure di una botola. Per terra c’è una scala. Un pasto di tarli, ma regge lo stesso. Mi infilo carponi, il tetto del solaio è bassissimo, il pavimento è coperto di paglia. Le travi scricchiolano a ogni movimento. Nessuna finestra, qualche raggio di luce si infila da sopra tra le assi: il sottotetto.
Ancora assi, paglia. Devo stare quasi sdraiato. Un’apertura dà sui tetti: spioventi. Impossibile per Magister Thomas.
Torno da lui. Ha labbra secche, la fronte brucia. Cerco dell’acqua. Al piano di sotto sul tavolo ci sono noci e una brocca. La cantilena prosegue incessante. Quando accosto l’acqua alle labbra del Magister vedo le sacche: meglio nasconderle.
Siedo sullo sgabello. Le gambe mi fanno male. Tengo la testa tra le mani, solo un attimo, poi il ronzio diviene un fragore assordante di urla, cavalli e ferraglia. I bastardi al soldo dei principi entrano in città. Di corsa alla finestra. A destra, sulla strada principale: cavalieri, picche spianate, rastrellano la via. Infieriscono su tutto ciò che si muove.
Dalla parte opposta: Elias sbuca nel vicolo. Scorge i cavalli: si ferma. Soldati a piedi compaiono dietro di lui. Non ha scampo. Si guarda intorno: dov’è Dio onnipresente?
Lo puntano.
Alza gli occhi. Mi vede.
Quello che deve fare. Sguaina la spada, si lancia gridando contro i soldati a piedi. Ne ha sventrato uno, gettato a terra un altro con una testata. Gli sono addosso in tre. Non sente i colpi, afferra l’elsa con due mani come una falce, continua a menare fendenti.
Si fanno da parte.
Da dietro: un galoppo lento, pesante, il cavaliere carica alle spalle. Il colpo ribalta Elias. È finito.
No, si rialza: maschera di sangue e furore. La spada ancora in mano. Nessuno si avvicina. Lo sento ansimare. Strattone alle redini, il cavallo si gira. La scure si alza. Di nuovo al galoppo. Elias allarga le gambe, due radici. Braccia e testa verso il cielo, lascia cadere la spada.
L’ultimo colpo: - Omnia sunt communia, figli di cane!
La testa vola nella polvere.
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Saccheggiano le case. Portoni giú a calci e colpi di scure. Tra poco tocca a noi. Non perdere tempo. Mi chino su di lui.
- Magister, ascoltami, dobbiamo andare, stanno arrivando... Per Dio, Magister... - Gli afferro le spalle. Risposta: un sussurro. Non può muoversi. In trappola, siamo in trappola. Come Elias.
La mano stringe la spada. Come Elias. Vorrei avere il suo coraggio.
- Cosa credi di fare? Basta martirio. Vattene, pensa a salvarti.
La voce. Come dalle viscere della terra. Non riesco a credere che abbia parlato. È più immobile di prima. Colpi rimbombano di sotto. La testa mi gira.
- Va’!
Ancora la voce. Mi volto verso di lui. Immobile. Colpi. Il portone va giù. Va bene, le sacche, non devono trovarle, via, sulle spalle, su per la scala, i soldati insultano la vecchia, scivolo, non ho appigli, troppo peso, via, mi cade una sacca, merda!, salgono le scale, dentro, ritiro la scala, chiudo la botola, la porta si apre.
Sono in due. Lanzichenecchi.
Posso spiarli da una fessura tra le travi. Non devo muovermi, il minimo scricchiolio e sono fottuto.
- Solo un’occhiata poi andiamo via, tanto qui non troviamo niente... Ah, ma c’è qualcun altro!
Si avvicinano al letto, scrollano Magister Thomas: - Chi sei? È casa tua questa? - Nessuna risposta.
- Bene, bene. Günther, guarda un po’ cosa abbiamo qui! Hanno visto la sacca. Uno dei due la apre:
- Merda, qui c’è solo carta, monete niente. Che roba è? Te sai leggere?
- Io, no!
- Io neanche. Forse è roba importante. Va’ giú a chiamare il capitano.
Cos’è, mi dài degli ordini? Perché non ci vai te?
Perché ‘sta borsa l’ho trovata io!
Alla fine si decidono, quello che non si chiama Günther scende al piano di sotto. Spero che nemmeno il Capitano sappia leggere, altrimenti è finita.
Passi pesanti, quello che dev’essere il capitano sale le scale. Non posso muovermi. Ho il palato riarso, la gola invasa dalla polvere del solaio. Per non tossire, mordo l’interno di una guancia e deglutisco il sangue.
Il capitano inizia a leggere. Posso solo sperare che non capisca. Alla fine alza lo sguardo dai fogli: - È Thomas Müntzer, il Coniatore... anzi, la Monetina1.
Il cuore mi va in testa. Sguardi compiaciuti: paga raddoppiata.
Portano via di peso l’uomo che dichiarò guerra ai principi. Resto in silenzio, incapace di muovere un muscolo. Dio onnipresente non è qui né in nessun luogo.
1 Gioco di parole dal tedesco «müntzer» = coniatore, «müntzel» = monetina.
(seguito)
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