lunedì 25 maggio 2009

Luther Blisset: «Q», romanzo contemporaleo sulla figura di Pietro Carafa. - Parte Iª cap. 8°: Wittenberg, Sassonia, aprile 1519.

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A seguire:
– PARTE SECONDA – PARTE TERZA - EPILOGO

PRIMA PARTE
Il Coniatore
La dottrina, il pantano
(1519-1522)
Capitolo 8
Wittenberg, Sassonia, aprile 1519

Città di merda, Wittenberg. Miserabile, povera, fangosa. Un clima insalubre e aspro, senza vigneti né frutteti, una birreria fumosa e gelata. Che cosa c’è a Wittenberg, se togli il castello, la chiesa e l’università? Vicoli sudici, strade piene di mota, una popolazione barbara di commercianti di birra e di rigattieri.
Siedo nel cortile dell’università con questi pensieri che affollano la testa, mangiando un bretzel appena sfornato. Lo rigiro tra le mani per raffreddarlo mentre osservo il bivacco studentesco che connota quest’ora della giornata. Focacce e zuppe, i colleghi approfittano del sole tiepido e pranzano all’aperto in attesa della prossima lezione. Accenti diversi, molti di noi vengono dai principati vicini, ma anche dall’Olanda, dalla Danimarca, dalla Svezia: rampolli di mezzo mondo accorrono qui per ascoltare la viva voce del Maestro. Martin Lutero, la sua fama è volata sulle ali del vento, anzi sui torchi degli stampatori che hanno reso famoso questo posto, fino a un paio d’anni fa dimenticato da Dio e dagli uomini. Gli eventi... gli eventi precipitano. Nessuno aveva mai sentito nominare Wittenberg e adesso arrivano sempre più numerosi, sempre più giovani, perché chi vuole partecipare all’impresa deve stare qui, nel pantano più importante di tutta la Cristianità. E forse è vero: qui si sta sfornando il pane che impegnerà i denti del Papa. Una nuova generazione di dottori e teologi che libereranno il mondo dagli artigli corrotti di Roma.
Eccolo che avanza, pochi anni più di me, la barba appuntita, magro e scavato come solo i profeti possono essere: Melantone, la colonna di sapienza classica che il principe Federico ha voluto affiancare a Lutero per dare prestigio all’università. Le sue lezioni sono brillanti, alterna citazioni da Aristotele a passi delle Scritture che può leggere in ebraico, come attingesse da un pozzo inesauribile di conoscenza. Al suo fianco il rettore, Carlostadio, l’Integerrimo, parco nel vestire, qualche anno ben portato in più. Dietro, Amsdorf e il fido Franz Günther, come cuccioli legati a un guinzaglio invisibile. Annuiscono e basta.
Carlostadio e Melantone discutono passeggiando. Negli ultimi tempi accade spesso. Si coglie qualche frase, brandelli di latino a volte, ma l’argomento resta oscuro. Lungo i muri dell’università la curiosità cresce come un rampicante: le menti giovani bramano nuove questioni su cui saggiare zanne da latte.
Si siedono su un gradino proprio di fronte a me, dall’altra parte del cortile. Con finta indifferenza capannelli di studenti prendono forma tutt’intorno. La voce efebica di Melantone mi raggiunge. Cosí accattivante in aula quanto stridula qui fuori.
- ... e dovresti convincertene una volta per tutte, mio buon Carlostadio, non ci sono parole più limpide di quelle dell’apostolo: «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite, perché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio, quindi chi si oppone all’autorità si oppone all’ordine stabilito da Dio». Questo scrive San Paolo nella Lettera ai Romani. Decido di alzarmi e di unirmi agli altri spettatori, proprio mentre Carlostadio ribatte.
- È ridicolo pensare che quel cristiano per il quale, secondo la parola dello stesso San Paolo, «la legge è morta», la legge morale data da Dio agli uomini debba obbedire ciecamente alle leggi spesso ingiuste fatte dagli uomini! Cristo dice: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». I Giudei usavano la moneta di Cesare riconoscendo l’autorità romana. Quindi era giusto che accettassero anche tutti quegli obblighi civili che non pregiudicavano quelli religiosi. In questo modo Cristo con le sue parole distingue il campo politico da quello religioso e accetta la funzione dell’autorità civile, ma solo a condizione che non si sovrapponga a Dio, che non si mescoli a Lui. Quando infatti si sostituisce a Dio non promuove più il bene comune, ma rende schiavo l’uomo. Ricorda il Vangelo di Luca: «Adorerai il Signore Dio tuo, e servirai lui solo»...

L’aria si è fatta più pesante, orecchie tese e sguardi che saltano da una parte all’altra. Si è formata un’arena, un semicerchio perfetto di studenti, come se qualcuno avesse delimitato col gesso il campo dello scontro. Günther sta in piedi, zitto, valutando da che parte converrà schierarsi. Amsdorf ha già scelto la sua: nel mezzo.
Melantone scuote la testa e strizza gli occhi accennando un sorriso magnanimo. Mostra sempre l’atteggiamento di un padre che spiega al figlio come stanno le cose. Come se la sua mente comprendesse la tua, racchiudendola, avendo già capito tutto quello che tu capirai da qui alla fine dei tuoi giorni.
Guarda compiaciuto il pubblico, ha di fronte a sé la Nuova Cristianità. Misura le parole, le pesa sulla stadera, prima di ribattere.
- Devi scavare più a fondo, Carlostadio, non fermarti alla superficie. Il senso del «date a Cesare» è ben diverso... Cristo distingue tra i due ambiti, quello dell’autorità civile e quello di Dio, è vero. Ma lo fa perché, appunto, a ciascuna delle due venga dato ciò che le spetta, giacché le due forme di autorità sono speculari. Questa è la volontà del Signore. San Paolo stesso ci ha spiegato questo concetto. Egli dice: «dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto». Inoltre, mio buon amico, se i fedeli si comportano onestamente non hanno nulla da temere dalle autorità, anzi, ne saranno lodati. Chi invece compie azioni malvagie, deve temere, perché se il sovrano porta la spada c’è un motivo: egli è al servizio di Dio per punire giustamente chi opera il male.
Carlostadio, lento, corrucciato: - Ma chi punirà il sovrano che non opera onestamente?
Melantone, sicuro: - «Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina». Il Signore dice: «A me la vendetta, sono io che ricambierò». L’autorità ingiusta è punita da Dio, Carlostadio. Dio l’ha posta sulla terra, Dio può distruggerla. Non spetta a noi contrapporci a essa. E del resto, quali parole più limpide di quelle dell’apostolo: «Benedite coloro che vi perseguitano»?
Carlostadio: - Certo, Melantone, certo. Non dico che non dobbiamo amare anche i nostri nemici, ma converrai con me che dobbiamo almeno guardarci da coloro che, seduti sulla cattedra di Mosè, serrano il regno dei cieli in faccia agli uomini...
Padrebuono Melantone: - I falsi profeti, mio buon Carlostadio, quelli sono i falsi profeti... E il mondo ne è pieno. Perfino qui, in questo luogo di studio graziato dal Signore... Perché è tra i sapienti che si annida l’alterigia, la presunzione di mettere in bocca le parole al Signore per innalzare la propria fama personale. Ma Egli ci ha detto: «Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l’intelligenza degli intelligenti». Noi serviamo Dio e combattiamo per la vera fede contro la corruzione secolare. Non dimenticarlo, Carlostadio.
Un colpo basso, sleale. Un velo di debolezza, l’ombra del conflitto che lo rode, si posa sulla figura del rettore. Sembra confuso, poco convinto, ma accusa la ferita. Melantone è in piedi: ha insinuato il dubbio, non resta che dare il colpo di grazia.
In quel momento una voce si alza dalla platea. Una voce ferma, chiara, che non può appartenere a uno studente.
- «Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe e sarete condotti davanti ai loro governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani...» Forse che il nostro Maestro Lutero ha timore di presentarsi al cospetto dell’autorità per essere giudicato dai tribunali? Non vi basta la sua testimonianza per capire? Quello di Lutero è il grido che si alza dai campi e dalle miniere, contro chi ha fatto scempio della vera fede: «Colui che viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra». Lutero ci ha indicato la via: quando l’autorità degli uomini si oppone alla testimonianza il vero cristiano ha il dovere di affrontarla.
Guardiamo il volto di chi ha appena parlato. Lo sguardo è ancor più duro e deciso delle parole. Non si distoglie mai da Melantone.
Melantone. Strizza gli occhi deglutendo la rabbia, stupito. Qualcuno gli ha rubato la parola. Due rintocchi. Chiamano alla lezione di Lutero. Si deve andare.
Silenzio e tensione si sciolgono nel brusio degli studenti, impressionati dalla disputa, e nelle frasi di circostanza di Amsdorf.
Tutti fluiscono verso il fondo del cortile. Melantone non si muove, gli occhi, piantati su chi gli ha strappato una vittoria certa. Si fronteggiano a distanza, finché qualcuno non prende il professore sotto braccio per accompagnarlo all’aula. Prima di andare, il tono della voce è una promessa: - Avremo occasione di parlare ancora. Sicuramente.
Nel corridoio affollato che precede l’aula dove ci attende il sommo Lutero, affianco il mio amico Martin Borrhaus, che tutti chiamiamo Cellario, anche lui eccitato dall’evento.
A voce bassa: - Hai visto la faccia di Melantone? Messer Linguatagliente lo ha toccato. Sai chi è?
- Si chiama Müntzer. Thomas Müntzer. Viene da Stolberg.

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