sabato 23 maggio 2009

Luther Blisset: «Q», romanzo contemporaleo sulla figura di Pietro Carafa. - Parte Iª cap. 3°: 18 maggio 1525.

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A seguire:
– PARTE SECONDA – PARTE TERZA - EPILOGO

PRIMA PARTE
Il Coniatore
Frankenhausen
(1525)

Capitolo 3
18 maggio 1525

È un bivacco di soldati.
Ombre lunghe e rozzi accenti del Nord.
Da due giorni e due notti cammino nella foresta, i sensi all’erta, trasalendo a ogni rumore: il battere d’ali degli uccelli, l’ululato lontano dei lupi che corre lungo la schiena e allenta le viscere. Là fuori, il mondo potrebbe essere finito, non esserci più niente.
Verso sud, finché le gambe non tenevano più e mi lasciavo cadere. Ho inghiottito qualunque cosa potesse ingannare lo stomaco: ghiande, bacche selvatiche, perfino foglie e corteccia quando la fame azzannava più a fondo... Stremato, l’umidità nelle ossa, e le membra sempre più pesanti.
Il sole era già calato quando nel nero della boscaglia sono apparsi i bagliori di un fuoco. Mi sono avvicinato, strisciando fin dietro questa quercia.
Alla mia destra, un centinaio di passi, tre cavalli legati: l’odore potrebbe tradirmi. Resto immobile, indeciso, pensando a quanto tempo guadagnerei spostandomi su una di quelle bestie. Sbircio ancora oltre il tronco: stanno intorno al fuoco, avvolti in coperte, una borraccia passa di mano in mano, quasi sento l’acquavite nei loro aliti.
- Oh! E quando abbiamo caricato e scappavano già come pecore?
Io ne ho infilzati tre sulla stessa lancia! Allo spiedo! Risate ubriache.
- Ho fatto di meglio, io. Me ne sono chiavate cinque mentre saccheggiavamo la città... e tra una e l’altra non ho mai smesso di ammazzarli, quei pezzenti... Una di quelle troie mi ha anche mezzo staccato un orecchio con un morso! Guardate qui...
E tu?
Le ho tagliato la gola, eccheccazzo!
- Fatica sprecata, testa di merda. Aspettavi un giorno e te la dava per riavere il cadavere del marito, come tutte le altre... Altra bordata di risate. Uno caccia un altro legno sul fuoco.
- Giuro che è stata la vittoria più facile della mia carriera, c’era solo da sparargli nella schiena e infilzarli come piccioni. Però che spettacolo: teste che saltavano, gente che pregava in ginocchio... Mi son sentito un cardinale!
Fa tintinnare una borsa piena e gli altri due gli fanno eco ridacchiando, uno si fa il segno della croce.
- Parole sante. Amen.
- Vado a pisciare. Lasciatemi un goccio di quella roba...
- Ehi, Kurt, vedi di andarla a fare fuori portata, che non voglio dormire con la puzza del tuo piscio sotto il naso!
- Sei cosí sbronzo che non ti accorgeresti neanche se ti cagassi sulla faccia...
- Vaffanculo, stronzo!
Un rutto di risposta. Kurt esce dal cerchio di luce e viene nella mia direzione. Caracolla a pochi passi da me e va oltre, nel fitto della boscaglia.
Decidere, adesso.
Vestiti. Vestiti meno luridi di questi e la borsa piena di soldi alla cintura.
Striscio dietro di lui, rasente gli alberi, finché non sento lo scroscio sull’erba. Stringo la daga. Come mi ha insegnato Elias: una mano davanti alla bocca e non darsi mai il tempo di esitare. Gli taglio la gola prima che possa capire cosa succede. Prima che io stesso possa capirlo. Appena un gorgoglio soffocato e sputa il sangue e l’anima tra le mie dita. Freno la sua caduta.
Non avevo mai ucciso un uomo.
Slaccio la cintura e prendo la borsa, tolgo la giubba e le brache, faccio un fagotto di tutto nel suo mantello. Via adesso, senza correre, senza fare rumore, un braccio avanti per proteggermi la faccia dai cespugli e dai rami. L’odore del sangue sulle mani, come nella piana, come a Frankenhausen.
Non avevo mai ucciso un uomo.
Teste che saltano, gente che prega in ginocchio, Elias, Magister Thomas ridotto una larva...
Non avevo mai ucciso un uomo.
Mi fermo, nel buio più totale, le voci si odono appena. La spada in pugno.
Quello che devo fare.
Spalancare la bocca dell’inferno per quei bastardi.
Torno indietro, un passo dopo l’altro, le voci sempre più forti, più vicine, lascio cadere il fagotto e la sacca, due, a grandi passi, sono due, non darsi il tempo di esitare.
- Kurt, dove cazzo... Entro nel cerchio di luce.
- Cristo! Un colpo di netto sulla testa.
- Merda santa! La lama nel petto, con tutta la forza, finché non vomita sangue. Una mano che si allunga verso l’arma troppo tardi: un colpo sulla spalla, poi alla schiena.
Striscia sui gomiti verso la boscaglia, le urla di un porco al macello.
Io: sempre più lento, sopra di lui. Impugno la daga a due mani, l’affondo tra le scapole spaccando le ossa e il cuore.
Distruggere l’orrore.
Silenzio. Solo il mio ansimare caldo, visibile, nella notte, e il crepitare del fuoco. Mi guardo attorno: non un movimento.
Non più.
Li ho fatti fuori tutti, per dio!

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