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Navigazione: PROLOGO. Fuori dall’Europa. – L’«Occhio»: Lettere del 17 maggio 1518, del 10 ottobre 1518. – PRIMA PARTE. Il Coniatore. a) Frankenhausen: Capitoli: 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7. - La dottrina, il pantano: 8. – L’«Occhio»: Lettere del 14 maggio 1521, del 27 ottobre 1521. – Capitoli: 9 - 10 - 11. - La sacca, i ricordi: 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 - 27 - 28 - 29. – L’«Occhio»: Lettere del 28 maggio 1525, del 22 giugno 1526, del 10 giugno 1527, del 17 settembre 1527, del 1 ottobre 1529.
A seguire:
– PARTE SECONDA – PARTE TERZA - EPILOGO
PRIMA PARTE
Il Coniatore
Frankenhausen
(1525)
Capitolo 5
21 maggio 1525
21 maggio 1525
Tutt’intorno alla stazione di cambio, un gran via vai di carri, carichi della razzia dei villaggi; capitani strillano ordini in dialetti diversi; drappelli di soldati partono in ogni direzione; baratti e compravendite di bottino in mezzo alla strada, tra mercenari più sporchi di me, e vagabondi ad aspettare gli avanzi. L’altra faccia della devastazione incontrata lungo la strada: retrovie di una guerra senza fronti, la fossa di scolo per il grasso del massacro.
Il cavallo ha bisogno di riposo, io di un pasto decente. Ma soprattutto devo orientarmi, trovare la strada più breve per Norimberga e poi Bibra.
- Non è conveniente lasciare incustodito un cavallo di questi tempi, soldato. Una voce sulla destra, oltre una colonna di fanti che riprende la marcia. Robusto, grembiule di cuoio e alti stivali coperti di merda.
- Il tempo che entri nella locanda e te lo servono per cena... Nella stalla sarà più sicuro.
- Quanto?
- Due scudi.
- Troppo caro.
- La carcassa del tuo cavallo varrà di meno...
Il mercenario pagato e congedato che torna a casa: - D’accordo, ma devi dargli fieno e acqua.
Fallo entrare qui. Sorride: strade piene, affari d’oro.
Vieni da Fulda? Il soldato che torna dalla guerra: - No. Frankenhausen.
Sei il primo che passa... Di’ un po’, come è stata? Una gran battaglia...
La paga più facile della mia carriera. Lo stalliere si gira e urla: - Ehi, Grosz, c’è uno che viene da Frankenhausen!
In quattro escono dall’ombra, facce ruvide di mercenari. Grosz ha una cicatrice che solca la guancia sinistra e scende sul collo, la mascella incrinata dove la lama ha inciso l’osso. Occhi grigi inespressivi di chi ha visto molte battaglie, abituati al tanfo dei cadaveri.
La voce esce da una caverna: - Li avete ammazzati tutti gli zappaterra?
Un respiro profondo per deglutire il panico. Volti che scrutano.
Il soldato che torna dalla guerra borbotta: - Tutti quanti.
Lo sguardo di Grosz cade sulla borsa dei soldi appesa alla cintura: - Stavi col principe Filippo?
Altro respiro. Non darsi mai il tempo di esitare.
- No, col capitano Bamberg, nelle truppe del duca Giorgio. Gli occhi restano immobili, forse dubbiosi. La borsa.
- Abbiamo provato a raggiungere Filippo per unirci ai suoi, ma siamo arrivati a Fulda troppo tardi. Erano già ripartiti: correva come un pazzo, quel rotto in culo! Si è fatto Smalcalda, Eisenach e Salza a marce forzate, neanche il tempo di fermarsi a pisciare...
Un altro: - Ci sono toccate le briciole, qualche saccheggio in giro. Sicuro che non c’è più nessun contadino da ammazzare? Gli occhi del soldato che ha sterminato i contadini nella piana: vetro, come quelli di Grosz.
- No. Tutti morti.
Facciastorta continua a fissare, riflette sull’affare del momento: quanto è rischioso prendersi la borsa. Sono quattro contro uno. Gli altri tre senza un suo gesto non si muovono.
Parla lento: -Mühlhausen. I principi vanno ad assediarla. Lí sí che c’è da fare un gran bottino. Case di mercanti, non di zappaterra pezzenti... Banche, botteghe...
- Femmine, - aggiunge ghignando quello più basso alle sue spalle.
Ma Grosz, l’orco, non ride. Nemmeno io, gola secca e fiato che non esce. Vàluta. La mia mano sull’impugnatura della spada, appesa alla cintura insieme alla borsa dei soldi. Ha capito: l’unico colpo sarebbe per lui. Gli squarcerei la gola: posso farlo. Sta scritto nello sguardo piantato sulla sua faccia.
Un fremito appena, come verdetto un battito di ciglia. Non vale la pena rischiare.
- Buona fortuna. Passano oltre, muti, il rumore degli stivali che affondano nel fango.
Il grassone mi siede di fronte, stacca grossi bocconi da una coscia di capretto, lunghe sorsate da un gigantesco boccale di birra colano sulla barba unta che, con la benda sull’occhio sinistro, quasi nasconde la faccia. La giubba, consunta e lercia, copre a stento i troppi barili di decenni al soldo di tutti i signori.
Durante una pausa il maiale mi interroga: - Cosa ci fa un signorino come te in questo letamaio?
Bocca piena che cola, ci passa sopra la mano e poi rutta.
Senza guardarlo: - Il cavallo deve riposare, io mangiare.
No, signorino. Cosa ci fai in questo buco di culo di guerra bastarda.
Difendo i principi dai rivoltosi... - non mi dà il tempo di continuare.
-Ah... Ah, buona, buona... da quattro pidocchiosi, - mastica, - da una marmaglia di cenciosi, - deglutisce, - che tempi, ragazzini che difendono i signori dalla plebaglia contadina, - rutta di nuovo. - Te lo dico io, signorino, questa è stata la più merdosa di tutte le guerre merdose che ’sto unico occhio buono ha visto. Soldi, compare, solo soldi e gli affari con quei porci di Roma. I vescovi con tutte quelle baldracche e figli da mantenere! Grana, te lo dico io, che i principi, i duchi, quei fottuti, non pensano ad altro. Prima gli tolgono tutto, ai bifolchi, e poi ci mandano noi, a bastonare quelli che si incazzano. Forse sono troppo vecchio per queste stronzate. Rotti in culo! Ma a ’sto giro c’erano da voltare i cannoni contro i principi e i leccamerda del Papa, avevano tirato fuori i coglioni, gli zappaterra: bruciavano i castelli con tutto quel ben di Dio, inculavano le contesse, sbudellavano i preti vaffanculo! Oh, parlavano sempre di Dio ma spaccavano tutto, quasi quasi ci stavo anch’io, ma poi lo sapevo come andava a finire, non c’è fortuna per i pezzenti. E a noi sempre i soliti quattro soldi di merda. Questa è tutta per loro, - scoreggia, sghignazza, tracanna. - Vaffanculo!
Smetto di mangiare, tra sorpresa e disgusto. Il maiale è simpatico, parla come una fogna ma odia i signori. Mi dà coraggio: sono fatti di carne e sangue, non solo ferro affilato.
-Te dov’è che stavi? - gli chiedo.
- A Eisenach, poi a Salza, poi ero stufo di spaccarmi le braccia sulle schiene dei poveracci. Un vero schifo. Sono troppo vecchio per queste stronzate, ho quarant’anni, cazzo, e vent’anni di questa merda. E te, signorino?
- Venticinque.
- No, no: dov’eri?
- Frankenhausen.
- Puttana!!! In mezzo al Giudizio Universale?! Le voci corrono, non avevo mai sentito una roba cosí.
- Proprio cosí, compare.
- E dimmi un po’... Quel predicatore, quel profeta, uh, quello tosto, come si chiama...? Ah, sí: der Müntzer. Il Coniatore. Che fine ha fatto?
Attento.
- L’hanno preso.
- Non è morto?
- No. Ho visto che lo portavano via. Uno del drappello che lo ha catturato mi ha detto che ha lottato come un leone, che è stato difficile, i soldati erano intimoriti dal suo sguardo e dalle sue parole. Mentre lo portavano via sul carro ancora lo sentivo urlare «Omnia sunt communia!»
E che cazzo vuol dire?
«Tutto è di tutti».
Merda, un bel tipo. E te sai il latino?
Sogghigna. Abbasso lo sguardo.
Il cavallo ha bisogno di riposo, io di un pasto decente. Ma soprattutto devo orientarmi, trovare la strada più breve per Norimberga e poi Bibra.
- Non è conveniente lasciare incustodito un cavallo di questi tempi, soldato. Una voce sulla destra, oltre una colonna di fanti che riprende la marcia. Robusto, grembiule di cuoio e alti stivali coperti di merda.
- Il tempo che entri nella locanda e te lo servono per cena... Nella stalla sarà più sicuro.
- Quanto?
- Due scudi.
- Troppo caro.
- La carcassa del tuo cavallo varrà di meno...
Il mercenario pagato e congedato che torna a casa: - D’accordo, ma devi dargli fieno e acqua.
Fallo entrare qui. Sorride: strade piene, affari d’oro.
Vieni da Fulda? Il soldato che torna dalla guerra: - No. Frankenhausen.
Sei il primo che passa... Di’ un po’, come è stata? Una gran battaglia...
La paga più facile della mia carriera. Lo stalliere si gira e urla: - Ehi, Grosz, c’è uno che viene da Frankenhausen!
In quattro escono dall’ombra, facce ruvide di mercenari. Grosz ha una cicatrice che solca la guancia sinistra e scende sul collo, la mascella incrinata dove la lama ha inciso l’osso. Occhi grigi inespressivi di chi ha visto molte battaglie, abituati al tanfo dei cadaveri.
La voce esce da una caverna: - Li avete ammazzati tutti gli zappaterra?
Un respiro profondo per deglutire il panico. Volti che scrutano.
Il soldato che torna dalla guerra borbotta: - Tutti quanti.
Lo sguardo di Grosz cade sulla borsa dei soldi appesa alla cintura: - Stavi col principe Filippo?
Altro respiro. Non darsi mai il tempo di esitare.
- No, col capitano Bamberg, nelle truppe del duca Giorgio. Gli occhi restano immobili, forse dubbiosi. La borsa.
- Abbiamo provato a raggiungere Filippo per unirci ai suoi, ma siamo arrivati a Fulda troppo tardi. Erano già ripartiti: correva come un pazzo, quel rotto in culo! Si è fatto Smalcalda, Eisenach e Salza a marce forzate, neanche il tempo di fermarsi a pisciare...
Un altro: - Ci sono toccate le briciole, qualche saccheggio in giro. Sicuro che non c’è più nessun contadino da ammazzare? Gli occhi del soldato che ha sterminato i contadini nella piana: vetro, come quelli di Grosz.
- No. Tutti morti.
Facciastorta continua a fissare, riflette sull’affare del momento: quanto è rischioso prendersi la borsa. Sono quattro contro uno. Gli altri tre senza un suo gesto non si muovono.
Parla lento: -Mühlhausen. I principi vanno ad assediarla. Lí sí che c’è da fare un gran bottino. Case di mercanti, non di zappaterra pezzenti... Banche, botteghe...
- Femmine, - aggiunge ghignando quello più basso alle sue spalle.
Ma Grosz, l’orco, non ride. Nemmeno io, gola secca e fiato che non esce. Vàluta. La mia mano sull’impugnatura della spada, appesa alla cintura insieme alla borsa dei soldi. Ha capito: l’unico colpo sarebbe per lui. Gli squarcerei la gola: posso farlo. Sta scritto nello sguardo piantato sulla sua faccia.
Un fremito appena, come verdetto un battito di ciglia. Non vale la pena rischiare.
- Buona fortuna. Passano oltre, muti, il rumore degli stivali che affondano nel fango.
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Il grassone mi siede di fronte, stacca grossi bocconi da una coscia di capretto, lunghe sorsate da un gigantesco boccale di birra colano sulla barba unta che, con la benda sull’occhio sinistro, quasi nasconde la faccia. La giubba, consunta e lercia, copre a stento i troppi barili di decenni al soldo di tutti i signori.
Durante una pausa il maiale mi interroga: - Cosa ci fa un signorino come te in questo letamaio?
Bocca piena che cola, ci passa sopra la mano e poi rutta.
Senza guardarlo: - Il cavallo deve riposare, io mangiare.
No, signorino. Cosa ci fai in questo buco di culo di guerra bastarda.
Difendo i principi dai rivoltosi... - non mi dà il tempo di continuare.
-Ah... Ah, buona, buona... da quattro pidocchiosi, - mastica, - da una marmaglia di cenciosi, - deglutisce, - che tempi, ragazzini che difendono i signori dalla plebaglia contadina, - rutta di nuovo. - Te lo dico io, signorino, questa è stata la più merdosa di tutte le guerre merdose che ’sto unico occhio buono ha visto. Soldi, compare, solo soldi e gli affari con quei porci di Roma. I vescovi con tutte quelle baldracche e figli da mantenere! Grana, te lo dico io, che i principi, i duchi, quei fottuti, non pensano ad altro. Prima gli tolgono tutto, ai bifolchi, e poi ci mandano noi, a bastonare quelli che si incazzano. Forse sono troppo vecchio per queste stronzate. Rotti in culo! Ma a ’sto giro c’erano da voltare i cannoni contro i principi e i leccamerda del Papa, avevano tirato fuori i coglioni, gli zappaterra: bruciavano i castelli con tutto quel ben di Dio, inculavano le contesse, sbudellavano i preti vaffanculo! Oh, parlavano sempre di Dio ma spaccavano tutto, quasi quasi ci stavo anch’io, ma poi lo sapevo come andava a finire, non c’è fortuna per i pezzenti. E a noi sempre i soliti quattro soldi di merda. Questa è tutta per loro, - scoreggia, sghignazza, tracanna. - Vaffanculo!
Smetto di mangiare, tra sorpresa e disgusto. Il maiale è simpatico, parla come una fogna ma odia i signori. Mi dà coraggio: sono fatti di carne e sangue, non solo ferro affilato.
-Te dov’è che stavi? - gli chiedo.
- A Eisenach, poi a Salza, poi ero stufo di spaccarmi le braccia sulle schiene dei poveracci. Un vero schifo. Sono troppo vecchio per queste stronzate, ho quarant’anni, cazzo, e vent’anni di questa merda. E te, signorino?
- Venticinque.
- No, no: dov’eri?
- Frankenhausen.
- Puttana!!! In mezzo al Giudizio Universale?! Le voci corrono, non avevo mai sentito una roba cosí.
- Proprio cosí, compare.
- E dimmi un po’... Quel predicatore, quel profeta, uh, quello tosto, come si chiama...? Ah, sí: der Müntzer. Il Coniatore. Che fine ha fatto?
Attento.
- L’hanno preso.
- Non è morto?
- No. Ho visto che lo portavano via. Uno del drappello che lo ha catturato mi ha detto che ha lottato come un leone, che è stato difficile, i soldati erano intimoriti dal suo sguardo e dalle sue parole. Mentre lo portavano via sul carro ancora lo sentivo urlare «Omnia sunt communia!»
E che cazzo vuol dire?
«Tutto è di tutti».
Merda, un bel tipo. E te sai il latino?
Sogghigna. Abbasso lo sguardo.
(seguito)
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