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A seguire:
– PARTE SECONDA – PARTE TERZA - EPILOGO
PRIMA PARTE
Il Coniatore
Frankenhausen
(1525)
Capitolo 7
Eltersdorf, Franconia 10 giugno 1525
Eltersdorf, Franconia 10 giugno 1525
Guadagnarsi il pane è davvero faticoso e triste. L’uomo si inventa pietose bugie a proposito del lavoro. Ecco un’altra e abominevole idolatria, il cane che lecca il bastone: il lavoro.
Ceppo e ascia dal sorgere del sole. Faccio legna nel cortile che separa l’orto e la stalla dalla casa di Vogel.
Wolfgang Vogel: per tutti pastore di Eltersdorf, seguace di Lutero; per Hut un ottimo aiuto nel diffondere libri, opuscoli, manifesti; per i contadini insorti «Leggilabibbia», dal suo ritornello: «Ora che Dio parla nella vostra lingua, dovete imparare a leggere la Bibbia da soli. Non avete più bisogno di dottori». «Allora neanche di te c’è bisogno», era la risposta più frequente, che comunque non lo scoraggiava mai.
E bravo Leggilabibbia: accoglienza calorosa, pacca sulla spalla, informarsi su chi è vivo e chi è morto, e mi ritrovo con una scure in mano davanti a una catasta di legna. Sono qui solo da due giorni e devo guadagnarmi l’ospitalità.
A Bibra Hut non c’era, la stamperia chiusa. Mi hanno detto che era passato di là una settimana prima, ma era subito ripartito per la Franconia settentrionale, a battezzare quanta più gente poteva. Come un viandante che arrivi a un ostello in fiamme e chieda cosa c’è per cena. Quando ho saputo che Vogel era di nuovo a Eltersdorf, il tempo di cambiare cavallo, fare provviste e sono ripartito.
Eltersdorf. Ho una stanza, un piatto di minestra e un nuovo nome: Gustav Metzger. Sono ancora vivo e non so come. Di rimettersi in strada, per ora non se ne parla.
Giornate lunghe, insopportabili. Pulire la stalla, spaccare legna, riempire la mangiatoia dei porci, in attesa che la scrofa figli. Raccogliere i frutti del piccolo orto, aggiustare gli arnesi sempre in procinto di tirare le cuoia. Mansioni ripetitive, pura coazione degli arti, svolte ogni giorno per avere diritto a una ciotola da cane di cortile.
Intanto le notizie che giungono da fuori parlano di massacri ovunque: la rappresaglia dei principi si è rivelata all’altezza della sfida che avevamo lanciato. Le teste dei contadini restano basse sull’aratro: non sono più quelli che hanno impugnato le falci come spade.
In tutto il paese non c’è quasi nessuno con cui riesca a scambiare due parole. Vado fino al mulino a far macinare il grano di Vogel e incontro qualcuno per strada, poche battute sul pastore Wolfgang, l’unico del villaggio ad avere frumento per il mugnaio.
Una delle poche cose piacevoli della giornata sono le discussioni con Hermann, un contadino rincoglionito che tiene dietro all’orto di Vogel. Per la verità parla quasi solo lui, mentre vibra colpi con l’ascia sui ciocchi di legno, perché ognuno, dice, ha le mani che si merita, e lui è nato che aveva già i calli, e i dottorini come me è meglio che tocchino soltanto libri. Sorride, bocca mezza sdentata, e giura che questa guerra l’hanno vinta i poveracci come lui. Racconta di quando hanno preso il castello del conte e per dieci giorni si sono fatti servire da lui e dai suoi uomini, mentre la notte si scopavano la signora e le figlie. Quella è stata la loro grande vittoria: nessuno può pensare di rovesciare i potenti per molto tempo, anche perché se governassero i contadini e i signori lavorassero la terra si morirebbe presto tutti quanti di fame, ché ognuno ha le mani che si merita... Eppure, per un signore, leccare i piedi di un servo e dover rimettere il coso dove l’ha messo un bifolco, è la più accecante delle sconfitte. Per quelli come Hermann, il più sacro dei godimenti. Ride come uno scemo, sputacchiando tutt’intorno, e per fargli ancor più piacere, gli dico che, forse, il prossimo conte sarà proprio figlio suo e che quello è un bel modo di abbattere i potenti: inquinargli la prole.
Con Vogel invece c’è poco da discutere. È un brav’uomo, ma non mi piace: dice che il fato e la suprema volontà divina hanno voluto che le cose andassero cosí, che l’orribile massacro di inermi avesse luogo, che l’insondabile, suprema potenza ci esorta a comprendere attraverso i suoi segni, anche quelli tragici o funesti, che non è la volontà degli uomini, anche quelli giusti e meritevoli del regno, sufficiente a realizzare la sua promessa in terra. Che si fotta, Vogel e con lui le promesse e tutto il resto.
Adesso mi volto quando mi chiamano Gustav, mi sono abituato a un nome che non è ù mio di qualunque altro.
La sera, la luce delle candele basta appena per leggere qualche pagina della Bibbia. La mia stanza: pareti di legno, una branda, uno sgabello e un tavolo. Sopra il tavolo, la sacca del Magister, un grumo informe di fango incrostato. Nessuno l’ha più spostata da lí.
Non c’è più niente, niente oltre quella sacca portata fin qui da Frankenhausen, a ricordarmi le promesse mancate e il passato. Niente che valga il rischio di essere conservato. Avrei dovuto bruciarla subito, ma ogni volta, avvicinarsi per afferrarla era come ritrovarsi in cima a quella scala e sentire il peso che tirava giú, mentre abbandonavo il Magister al suo destino.
Per la prima volta la apro. Quasi si sbriciola tra le mani. Le lettere ci sono ancora tutte, ma l’umidità le ha mangiate e imputridite. I fogli si tengono insieme a fatica.
Al magnifico maestro nostro messer Thomas Müntzer de Quedliburck, il saluto dei contadini della Foresta Nera e di Hans Müller von Bulgenbach, ribellatisi all’unisono e con la forza al turpissimo signore Sigmund von Lupfen, colpevole di aver affamato e vessato i suoi servi e le loro famiglie inverno dopo inverno, riducendoli alla disperazione.
Maestro nostro, scrivo per informarVi che una settimana è trascorsa da quando i nostri dodici articoli sono stati presentati al Consiglio della città di Villingen, il quale ha risposto prontamente accogliendo solo alcune delle richieste in essi contenute. Una parte dei contadini ha quindi ritenuto di non poter ottenere di più e ha scelto di ritornare alle proprie case. Ma una parte non esigua di essi ha invece deciso di proseguire la protesta. Io stesso sto cercando di raggiungere i contadini dei territori vicini per trovare rinforzi in questa giusta lotta e Vi scrivo con la fretta di chi ha già un piede nella staffa, certo che non vive altro uomo in tutta la Germania più pronto di Voi a giustificare la mia concisione e sperando di cuore che questa missiva possa raggiungerVi.
Müller, probabilmente morto. Avrei voluto conoscerlo allora. E non è passato un anno. Un anno che adesso sembra dall’altra parte del mondo, come le sue parole. L’anno in cui tutto è stato possibile, se mai davvero lo è stato.
Pesco ancora nella sacca. Un foglio giallo e sbrindellato.
Al Maestro dei contadini, signor Thomas Müntzer, difensore della fede contro gli empi, presso la chiesa di Nostra Signora in Mühlhausen.
Maestro nostro, il giorno della santa Pasqua, approfittando dell’assenza del conte Ludwig, i contadini hanno dato l’assalto al castello di Helfenstein, e dopo averlo depredato e aver catturato la contessa e i figli si sono diretti verso le mura della città dove il conte e i suoi nobili si erano rifugiati. Grazie all’appoggio dei cittadini hanno fatto irruzione all’interno e li hanno catturati. Quindi, hanno condotto il conte e altri tredici nobili in aperta campagna e li hanno costretti a passare sotto il giogo. Nonostante in cambio della vita il conte avesse offerto molto denaro, lo hanno ucciso insieme ai suoi cavalieri, lo hanno spogliato e lasciato in mezzo al bosco con le spalle allacciate al giogo. Tornati al castello, gli hanno appiccato fuoco.
La notizia di questi avvenimenti non ha tardato a raggiungere le contee vicine, seminando il panico tra i nobili che ora sanno di poter subire la stessa sorte del conte Ludwig. Sono certo che questi accadimenti saranno un viatico di primaria importanza per il riconoscimento dei dodici articoli in tutte le città.
In questo giorno di Pasqua, il Cristo resuscita dai morti per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi (Is 57, 15). Che la grazia di Dio non vi abbandoni,
Stringo il foglio ammuffito. Conosco questa lettera, Magister Thomas la lesse ad alta voce per ricordare a tutti che il momento del riscatto era vicino. La sua voce: il fuoco che ha incendiato la Germania.
Ceppo e ascia dal sorgere del sole. Faccio legna nel cortile che separa l’orto e la stalla dalla casa di Vogel.
Wolfgang Vogel: per tutti pastore di Eltersdorf, seguace di Lutero; per Hut un ottimo aiuto nel diffondere libri, opuscoli, manifesti; per i contadini insorti «Leggilabibbia», dal suo ritornello: «Ora che Dio parla nella vostra lingua, dovete imparare a leggere la Bibbia da soli. Non avete più bisogno di dottori». «Allora neanche di te c’è bisogno», era la risposta più frequente, che comunque non lo scoraggiava mai.
E bravo Leggilabibbia: accoglienza calorosa, pacca sulla spalla, informarsi su chi è vivo e chi è morto, e mi ritrovo con una scure in mano davanti a una catasta di legna. Sono qui solo da due giorni e devo guadagnarmi l’ospitalità.
A Bibra Hut non c’era, la stamperia chiusa. Mi hanno detto che era passato di là una settimana prima, ma era subito ripartito per la Franconia settentrionale, a battezzare quanta più gente poteva. Come un viandante che arrivi a un ostello in fiamme e chieda cosa c’è per cena. Quando ho saputo che Vogel era di nuovo a Eltersdorf, il tempo di cambiare cavallo, fare provviste e sono ripartito.
Eltersdorf. Ho una stanza, un piatto di minestra e un nuovo nome: Gustav Metzger. Sono ancora vivo e non so come. Di rimettersi in strada, per ora non se ne parla.
***
Eltersdorf, estate 1525Giornate lunghe, insopportabili. Pulire la stalla, spaccare legna, riempire la mangiatoia dei porci, in attesa che la scrofa figli. Raccogliere i frutti del piccolo orto, aggiustare gli arnesi sempre in procinto di tirare le cuoia. Mansioni ripetitive, pura coazione degli arti, svolte ogni giorno per avere diritto a una ciotola da cane di cortile.
Intanto le notizie che giungono da fuori parlano di massacri ovunque: la rappresaglia dei principi si è rivelata all’altezza della sfida che avevamo lanciato. Le teste dei contadini restano basse sull’aratro: non sono più quelli che hanno impugnato le falci come spade.
In tutto il paese non c’è quasi nessuno con cui riesca a scambiare due parole. Vado fino al mulino a far macinare il grano di Vogel e incontro qualcuno per strada, poche battute sul pastore Wolfgang, l’unico del villaggio ad avere frumento per il mugnaio.
Una delle poche cose piacevoli della giornata sono le discussioni con Hermann, un contadino rincoglionito che tiene dietro all’orto di Vogel. Per la verità parla quasi solo lui, mentre vibra colpi con l’ascia sui ciocchi di legno, perché ognuno, dice, ha le mani che si merita, e lui è nato che aveva già i calli, e i dottorini come me è meglio che tocchino soltanto libri. Sorride, bocca mezza sdentata, e giura che questa guerra l’hanno vinta i poveracci come lui. Racconta di quando hanno preso il castello del conte e per dieci giorni si sono fatti servire da lui e dai suoi uomini, mentre la notte si scopavano la signora e le figlie. Quella è stata la loro grande vittoria: nessuno può pensare di rovesciare i potenti per molto tempo, anche perché se governassero i contadini e i signori lavorassero la terra si morirebbe presto tutti quanti di fame, ché ognuno ha le mani che si merita... Eppure, per un signore, leccare i piedi di un servo e dover rimettere il coso dove l’ha messo un bifolco, è la più accecante delle sconfitte. Per quelli come Hermann, il più sacro dei godimenti. Ride come uno scemo, sputacchiando tutt’intorno, e per fargli ancor più piacere, gli dico che, forse, il prossimo conte sarà proprio figlio suo e che quello è un bel modo di abbattere i potenti: inquinargli la prole.
Con Vogel invece c’è poco da discutere. È un brav’uomo, ma non mi piace: dice che il fato e la suprema volontà divina hanno voluto che le cose andassero cosí, che l’orribile massacro di inermi avesse luogo, che l’insondabile, suprema potenza ci esorta a comprendere attraverso i suoi segni, anche quelli tragici o funesti, che non è la volontà degli uomini, anche quelli giusti e meritevoli del regno, sufficiente a realizzare la sua promessa in terra. Che si fotta, Vogel e con lui le promesse e tutto il resto.
***
Adesso mi volto quando mi chiamano Gustav, mi sono abituato a un nome che non è ù mio di qualunque altro.
***
La sera, la luce delle candele basta appena per leggere qualche pagina della Bibbia. La mia stanza: pareti di legno, una branda, uno sgabello e un tavolo. Sopra il tavolo, la sacca del Magister, un grumo informe di fango incrostato. Nessuno l’ha più spostata da lí.
Non c’è più niente, niente oltre quella sacca portata fin qui da Frankenhausen, a ricordarmi le promesse mancate e il passato. Niente che valga il rischio di essere conservato. Avrei dovuto bruciarla subito, ma ogni volta, avvicinarsi per afferrarla era come ritrovarsi in cima a quella scala e sentire il peso che tirava giú, mentre abbandonavo il Magister al suo destino.
Per la prima volta la apro. Quasi si sbriciola tra le mani. Le lettere ci sono ancora tutte, ma l’umidità le ha mangiate e imputridite. I fogli si tengono insieme a fatica.
Al magnifico maestro nostro messer Thomas Müntzer de Quedliburck, il saluto dei contadini della Foresta Nera e di Hans Müller von Bulgenbach, ribellatisi all’unisono e con la forza al turpissimo signore Sigmund von Lupfen, colpevole di aver affamato e vessato i suoi servi e le loro famiglie inverno dopo inverno, riducendoli alla disperazione.
Maestro nostro, scrivo per informarVi che una settimana è trascorsa da quando i nostri dodici articoli sono stati presentati al Consiglio della città di Villingen, il quale ha risposto prontamente accogliendo solo alcune delle richieste in essi contenute. Una parte dei contadini ha quindi ritenuto di non poter ottenere di più e ha scelto di ritornare alle proprie case. Ma una parte non esigua di essi ha invece deciso di proseguire la protesta. Io stesso sto cercando di raggiungere i contadini dei territori vicini per trovare rinforzi in questa giusta lotta e Vi scrivo con la fretta di chi ha già un piede nella staffa, certo che non vive altro uomo in tutta la Germania più pronto di Voi a giustificare la mia concisione e sperando di cuore che questa missiva possa raggiungerVi.
Che Dio Vi accompagni sempre,
l’amico dei contadini,
Hans Müller von Bulgenbach
Di Villingen, il giorno 25 di novembre dell’anno 1524
l’amico dei contadini,
Hans Müller von Bulgenbach
Di Villingen, il giorno 25 di novembre dell’anno 1524
Müller, probabilmente morto. Avrei voluto conoscerlo allora. E non è passato un anno. Un anno che adesso sembra dall’altra parte del mondo, come le sue parole. L’anno in cui tutto è stato possibile, se mai davvero lo è stato.
Pesco ancora nella sacca. Un foglio giallo e sbrindellato.
Al Maestro dei contadini, signor Thomas Müntzer, difensore della fede contro gli empi, presso la chiesa di Nostra Signora in Mühlhausen.
Maestro nostro, il giorno della santa Pasqua, approfittando dell’assenza del conte Ludwig, i contadini hanno dato l’assalto al castello di Helfenstein, e dopo averlo depredato e aver catturato la contessa e i figli si sono diretti verso le mura della città dove il conte e i suoi nobili si erano rifugiati. Grazie all’appoggio dei cittadini hanno fatto irruzione all’interno e li hanno catturati. Quindi, hanno condotto il conte e altri tredici nobili in aperta campagna e li hanno costretti a passare sotto il giogo. Nonostante in cambio della vita il conte avesse offerto molto denaro, lo hanno ucciso insieme ai suoi cavalieri, lo hanno spogliato e lasciato in mezzo al bosco con le spalle allacciate al giogo. Tornati al castello, gli hanno appiccato fuoco.
La notizia di questi avvenimenti non ha tardato a raggiungere le contee vicine, seminando il panico tra i nobili che ora sanno di poter subire la stessa sorte del conte Ludwig. Sono certo che questi accadimenti saranno un viatico di primaria importanza per il riconoscimento dei dodici articoli in tutte le città.
In questo giorno di Pasqua, il Cristo resuscita dai morti per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi (Is 57, 15). Che la grazia di Dio non vi abbandoni,
il capitano delle schiere contadine del Neckar e dell’Odenwald,
Jäklein Rohrbach
Di Weinsberg, il giorno 18 aprile dell’anno 1525
Jäklein Rohrbach
Di Weinsberg, il giorno 18 aprile dell’anno 1525
Stringo il foglio ammuffito. Conosco questa lettera, Magister Thomas la lesse ad alta voce per ricordare a tutti che il momento del riscatto era vicino. La sua voce: il fuoco che ha incendiato la Germania.
(seguito)
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